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Milano teme (o gufa?) per Benitez

E adesso? È la domanda che mi sono sentito rivolgere da amici tifosi milanisti e interisti l’altra sera a cena. Si parlava, ovvio, di calcio e in particolare del Napoli.
A giudicare dalla partita con il Parma si direbbe che la squadra sia arrivata ad una situazione di stasi psicologica. Come se i calciatori si fossero detti:
“Battuta la Juve abbiamo fatto il nostro, il secondo posto è andato, il terzo è assicurato e tra poco ci sono i Mondiali…
Quindi restano un po’ di partite inutili, quella di Parma è la prima della serie…”
Atteggiamento, fosse vero, umanamente comprensibile ma profondamente sbagliato per le sue possibili conseguenze, oltre che, ovvio, per il rispetto dovuto agli spettatori.

Adesso c’è il rischio, se passasse questa logica nelle prossime partite a cominciare da quella con la Lazio:
A) di far ripartire le polemiche sull’attuale assetto tecnico e sappiamo quanto i media e il pubblico di Napoli sappiano essere “caldi” nel bene e nel male
B) queste polemiche potrebbero condizionare De Laurentiis, il padre padrone del Napoli, che sappiamo quanto sia umorale, propenso a mostrarsi nei momenti di successo e a scomparire nei momenti di difficoltà. Non è un mangiaallenatori (in fondo prima di Benitez il Napoli ha avuto nella storia di De Laurentiis relativamente pochi allenatori: Ventura, Reja, Donadoni, Mazzarri) ma è pur sempre un presidente che, come molti altri, è sensibile alle sollecitazioni dell’ambiente, in particolare quando si parla dell’allenatore…
C) Una forte flessione del Napoli nelle ultime giornate potrebbe rafforzare la tesi secondo cui Benitez, agli antipodi rispetto ad altri allenatori cone Mourinho o Conte, non sia un motivatore dei calciatori.

Paradossalmente, secondo i miei amici osservatori “neutrali”, il finale del campionato potrebbe mettere a rischio non solo le panchine di Mazzarri e Seedorf, ma anche quella di Benitez.

E adesso cosa dovrebbe fare Benitez?
Nella discussione sono venute fuori queste tre ipotesi. Voi che ne pensate?
1) avviare un forte turnover, mandando in campo i giocatori magari neno qualitativamente validi ma più interessati a rendersi “visibili”
2) mandare segnali “forti” alla squadra ( ritiri…) per tenere alta l’attenzione e continuare a puntare per la formazione sui migliori
3) proprio nulla di diverso da quanto fatto finora, non si cambiano le strategie per una piccola flessione.
Bruno Patierno

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