Mi piace Carlo Alvino. Sì, quello della cronaca tifosa su Sky. Lo amo da molto, da quando abitavo da solo, fuori Roma, in campagna, e il Napoli era in serie C e io non mi perdevo una diretta.
Non penso che Alvino sia Tom Brokaw o David Letterman, non penso nemmeno che sia Carosio, insomma non la metto sul piano professionale. Il mio affetto per lui gli fa amnistia (“fa passaggio”) di molti difetti e di qualche provincialismo. Che, però, anche loro fanno ridere. Quando con una temperatura di +8 a Bologna ha cominciato a dire “che umidità e che gelo, amici miei!”! mi sono piegato in due dal ridere. Solo un napoletano può dirlo, che con otto gradi c’è il gelo, e si fotta la fisica.
E di Alvino non mi interessa nemmeno il suo sublime ignorare tutto quel chiacchiericcio sulla tattica che fa delle cronache di Sky o Rai una sorta di nebbia che avvolge l’evento, quel racconto distonico che mi distrae dal gioco e non mi fa vedere quello che amo e soffro: il tocco sbagliato, la papera del difensore, la pisciatina del centrocampista. Lui queste cose me le dice e al momento giusto, lui, Alvino sa stare zitto. Importantissimo. Il silenzio serve nel calcio.
Lo amo come utente del suo lavoro. Che è per l’appunto quello di fare il tifoso, non il tecnico. Altri, in Rai e a Sky e pure a Mediaset, sono tifosi contro, e non lo dicono. Amo Carlo perché non insulta nessuno e non suona la gran cassa della retorica ad ogni gol. Non gli si gonfia niente, a Carlo Alvino. Lui, come tutti noi, è felice e urla. Lui fa quello che faccio io. Non manipola i miei sentimenti, non svaria per i giri della retorica. Fa il tifoso del Napoli.
Mi piacciono i suoi modi di dire: i gol che facciamo sono sempre “purpette”. “Arrecettammo e’ fierre”, quand è andata bene e l’arbitro sta per fischiare la fine. E quel silenzio agghiacciato, triste, senza fiato, quando prendiamo gol (A Calaiò, lunedì sera: “Tu una n’è ‘ngarrato e cu nuje l’aviva ngarrà” MITICO). Ancora una volta, come a me. Che riesco soltanto, nella mia casa lontana dal san Paolo, a dare un calcio alla poltrona e tirare un jastemmone.
Mi piace quel suo modo tranquillo di raccontare la partita. Mi fa sentire a casa, a Napoli. Il suo uso del dialetto è quello che farei io. Carlo è il vicino che sa ripararti il rubinetto che scorre e che d’inverno in casa sua porta la giacca-vestaglia e le pantofole pure alle cinque di pomeriggio. Che sa fare una pastiera e che sa trovare il proverbio giusto, quello che non raddrizza la vita ma fa bruciare meno dentro al cuore.
Mi piace perché è obiettivamente tifoso. Se Higuain è in fuori gioco, lui dice che Higuain è in fuori gioco. Se Higuain è quasi in fuori gioco, lui urla all’arbitro: “Me che fai sei cecato!”. La sua esagerazione tifosa resta in quel margine di mistificazione convenuta che fa sì che tutto ridiventi normale al 93esimo. E sono stato con lui anche quando ha esagerato, quando a Torino, sul gol del 2-3 di tanti anni fa (chi era, Datolo?), ha urlato “Voglio morire qui!”, magari toccandosi i cerasielli e gli aglietti che all’epoca si portava sempre dietro – temo che Sky abbia messo qualche “linea guida” che ha prosciugato un po’ del suo folclore.
Correzione ore 19.45: mi fanno notare che la frase che gli attribuisco fu detta da Auriemma. Lascio la formulazione senza cancellarla, intanto perché non è corretto, sul web, manipolare i testi. E poi perché mi sono rivisto su You Tube cosa davvero disse il Nostro: morire era enfatico, lui fece un lungo canto di gioia, come tutti noi. Bellissimo, meglio così. L’Enfasi non è il suo segno: Mai. Ma visto che ci siamo aggiungo come l’ho conosciuto. La mia mamma, classe 1921, non sapeva nemmeno quanti giocatori ci fossero in una squadra, ma lo ascoltava su Canale 9 perché diceva che lo trovava appassionato e spassoso: “Chillu guaglione fa tanti belli strilli”. Me lo diceva al telefono il giorno dopo, commentava sempre le partite. Me lo “presentò” lei.
E insomma mi Piace Carlo Alvino perché a me, che ne soffro la mancanza, mi restituisce un po’ di Napoli.
Vittorio Zambardino