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Sconcerti: in tre giorni il calcio italiano ha legittimato il razzismo. Il tutto, in nome del Milan

Dopo Michele Serra, anche Mario Sconcerti prende nettamente posizione contro il passo indietro della Figc sulla discriminazione territoriale. E lo fa sulle colonne del Corriere della Sera. Aspettando Gramellini, che sarà il nostro Godot.

Va benissimo che il Milan giochi con l’Udinese a stadio aperto. In tanti anni di argomenti simili sono sempre stato perché gli abbonamenti e i biglietti acquistati dalla gente non potessero essere cancellati dalle sciocchezze di poche decine di persone. Ma temo non ci si sia resi conto che in tre giorni di grande comunicazione abbiamo cancellato un piccolo caposaldo del diritto sportivo di frontiera. Una quindicina di anni fa furono messe queste ed altre regole di civiltà negli stadi sotto la stessa spinta dei media che invocavano ordine e normalità. Si cominciò dalle offese agli arbitri, assolutamente non ammesse, tanto che Collina a Genova, in una partita della Samp, sospese la gara per far togliere uno striscione contro Casarin, allora capo degli arbitri. Per anni abbiamo preteso cioè di eliminare le offese gravi dagli stadi. E la discriminazione territoriale è appunto questo, un’offesa. Ora siamo quasi orgogliosi di toglierla perché un grande club ci è cascato. Non è successo niente di più grave, siamo rimasti alle offese, ma ci siamo detti che le offese non sono arginabili. Quindi non punibili. È bene capire che stiamo compiendo molti passi indietro, non affermiamo il progresso. La giustizia che aveva portato per gradi a punizioni estreme era stata voluta con orgoglio da tutta l’opinione pubblica, la stessa che ora la definisce insopportabile. Quindi libertà di offese concesse in sole tre giorni, meno del tempo che ci volle per giudicare colpevole la Juventus nel 2006. Ma se la valutazione del peccato può essere quasi accettabile, offendersi in uno stadio rientra a quanto pare nei diritti dello spettacolo, è inaccettabile la motivazione della Federcalcio. Per fermare la giustizia di tutti i giorni chiede un approfondimento. Ma di cosa se non di quello che hanno già denunciato gli stessi commissari federali, i quali hanno scritto di tre trasgressioni, tre ondate di offese di milanisti a napoletani prima della partita con la Juve, al 6’ e al 43’ del secondo tempo. Ora, se un commissario ha sentito tre volte, il peccato si deve per forza presumere commesso. Tutto sta a come giudicarlo. Per la prima volta la Federcalcio cambia il metro di giudizio senza però sapere come. Per questo chiede approfondimenti. Ma a chi, se i testimoni sono già loro inviati, loro dipendenti. È bastata una dura battaglia del Milan lunga tre giorni per eliminare una regola voluta da tutti quindici anni fa, quando non c’era ancora razzismo e quando ci si offendeva lo si faceva ad uso interno, città contro città. Sapevamo tutto anche allora: il pericolo di mettere il calcio in mano ai coristi indisciplinati (e infatti personalmente mi dissociai), oltre che di tentare una battaglia cavalleresca contro avversari barbari. Ma era sempre stata questa la regola. Cos’è cambiato adesso oltre il fatto che a pagarne il prezzo più alto è stato il Milan? Eravamo tutti orgogliosi di punire con la fine dello spettacolo una partita piena di volgarità. Oggi si dice che è insostenibile. Può darsi sia giusto il traguardo ma è senz’altro sbagliata la corsa. A cosa rinunciamo rinunciando alla regola? A punire il razzismo interno, quello tra nord e sud. Non possiamo anzi che renderlo legittimo. Che conquista è? Volevamo spaventare gli incivili e ci siamo spaventati noi. Davvero è una vittoria? E sarebbe stata affrontata la diversità se non fosse stato il Milan al centro della guerra? Che dibattito è? E che fine faranno quelli che dovranno ammettere di aver sbagliato legge, resteranno ai loro posti? Non essendo stato deciso niente, ma solo rinviato per approfondimenti che già c’erano, cosa succederà nelle prossime domeniche, accetteremo gli insulti, la daremo vinta agli incivili? Non ho una soluzione giusta, ma nemmeno questa lo è. C’era una regola e c’erano commissari inviati per farla rispettare. Applicandola sono stati giudicati scandalosi i giudici. Arrendersi è una possibilità della battaglia, ma questa è molto di più. È una resa bugiarda perché non c’è da approfondire niente. La Federcalcio aveva ragione, ma ne aveva troppa. E non ha retto le conseguenze. Possibile le basti per rimanere in sella e cambiare come se nulla fosse una regola che è stata per anni buona per tutte le altre squadre?
Mario Sconcerti (tratto dal Corriere della sera di oggi 13 ottobre 2013)

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