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Io, romanista, al San Paolo per accompagnare papà, contagiato dal tifo napoletano

Un romanista alla Posillipo. Mercoledì mattina, cosa manca? Un cambio di mutande, un ricambio di calzini, una maglietta, spazzolino, dentifricio, shampoo, deodorante. L’asciugamano lo trovo in albergo, è tranquilla.

Documento valido, portafogli e chiavi ce l’ho. Cosa manca?

Mio padre mi aspetta. Dai, su, ho tutto o almeno tutto il necessario.

Ah già la felpa, può far fresco a Fuorigrotta, stasera.

A Tiburtina i treni vanno con comodo. E mi concedo un dolce pensiero: “Che tocca fa pe’ tu padre“. Checché se ne dica dei servizi italiani, l’arrivo nella città paterna spacca il minuto. Nonostante la brevità del viaggio, ho il tempo di notare che il treno supera i 290. Ho paura dei treni. “I treni nun me piacciono e io so da maggica, che tocca fa pe tu padre

Vesuvio e monte Somma mi attendono all’arrivo. Uno, vanitoso mi saluta mostrando la sua bellezza. L’altro, fiero, mi ricorda che non sono a casa. Anzi…

Napoli è bella ma “tocca sta ar ciocco (attenti NdR), qui nun se scherza, noi altri più a nord lo sappiamo bene. Come se non bastasse mo’ c’hanno pure Higuain

L’attesa è lunga ma il popolo del San Paolo ti ripaga. In quel miscuglio chiassoso, che è fra il gran bazar di Istanbul e via Sannio (mercato-bazar romano NdR), riesci a scorgere attimi esilaranti e sublimi. Davanti allo stadio, una donna urla per il sequestro della sua cofana abusiva piena di birre sfuse e bottigliette d’acqua che adesso sta goffamente nel bagagliaio della municipale, chissà dove finirà.

Un uomo si è trasformato in un carretto ambulante per hot dog, anzi brat Wurst, con tanto di pancia-piastra e cappello plexigas antipioggia. Il volume di voce medio per intensità sarebbe considerato disturbo della quiete pubblica in molti ingorghi di traffico. E una sensazione gonfia l’aria. Imminenza.

Questa l’Olimpico la conosce bene. La conoscono tutti gli stadi. Insomma la conosco anch’io. Quell’imminenza, quella perifrastica emozione, “siamo sul punto di, sta per succedere qualcosa”.
Un petardo, un urlo, uno sparo, lo stadio è imminenza. Napoli è imminenza. “Che tocca fa pe tu’ padre”. Che poi questi qua il mio accento lo riconoscerebbero in un attimo.

“L’imminenza napoletana” mi regala un lievissimo senso d’angoscia. Che spesso sento già in tangenziale, ad ogni mia visita qui. Ancora prima di aver letto sui cartelli un nome per me tristemente famoso, Uscita Secondigliano.

Ma poi la tribuna Posillipo. Al centro la vista domina campo e curve. A sinistra la terra di nessuno, le urla, lo spettacolo. A destra fortunatamente c’è più calma. Fortunatamente, visto che in pochi metri dall’azzurro si passa al giallo dei tedeschi. E ho conosciuto reti più rassicuranti di quella che li divide.

La coesione del san Paolo ricorda la Sud dell’Olimpico, ma con qualcosa in più. La Posillipo è più passionale della Monte Mario. La borghesia, in trasporto emotivo, ricorda i distinti dell’Olimpico. La maggiore partecipazione mi dà i brividi. Anche e soprattutto nei momenti goliardici, quando cantano l’inno della Champions. Da noi diremmo: “Sti burini”. Eppure l’effetto sui peli del corpo, quando li ascolti cantare, è sublime.

Poi applaudire è immediato, già al quinto del primo tempo, quando i crucchi mostrano il significato delle parole “disciplina” e “precisione”. Dieci minuti di attacco, dieci minuti di pressing al portatore. Ma il Napoli è duro a morì, c’ha fatto il callo due anni fa sulle incursioni di Ribery e Robben. Ma mi sto sbagliando, qualcosa è cambiato.

Non scappano più.

Non so cosa sia, se Benitez, se l’arrivo di quattro giocatori nuovi, o la dipartita del Matador, con la sua dittatoriale imposizione tattica sul centro attacco. Fatto sta che il Napoli, per come l’ho conosciuto io negli ultimi tre anni, appare cambiato. Con le piccole squadre fa il duro, tiene palla e gestisce. Con le grandi finalmente è “mors tua, vita mea”. Le due esplosioni di gol sono terremoti. Il “bambino” comprato per 1500 euro e il Saggio argentino, che di bestie, fra gli Iberici, ne ha viste molte. L’unica implosione mostra il solo punto debole del Napoli: manca un’ultima maturazione e i tedeschi lo sanno bene: si lotta fino all’ultimo minuto, si combatte fino all’ultima trincea, la partita finisce quando l’arbitro fischia.

Nonostante gli ultimi cinque minuti di panico, che mi fanno ricordare l’era Mazzarri, il Napoli vince contro la vice campione d’Europa. Ora sarà perché mio padre è napoletano e tifoso del Napoli, sarà che l’azzurro mi ricorda la nazionale, ma unirmi ai festeggiamenti è facile. Come rotolare in discesa lo è per un pallone. La passione napoletana è contagiosa.

Alla fine la somiglianza fra noi è molta. La Lupa e il Ciuccio convidono, per i loro tifosi, la sindrome da secondo posto. L’abitudine a non essere vincenti. Con tutto lo spettro emotivo che questo comporta. Ad ogni azione avversaria, se c’è qualcosa che può andare storto ci andrà. In questo vi ho sempre considerati segretamente gemellati con noi.

Giovedì mattina. Stazione Tiburtina. I doni del golfo ce l’ho in mano. Mozzarella di bufala, passata di pomodoro giallo di Pomigliano d’arco e olio di Sorrento. La scommessa l’ho persa: avevo giocato il 3-1 per il Napoli ma non l’avevo detto.

Alla fine nun è toccato molto da fa pe’ mi padre, sta canzone del Soldato Innammorato te commuove sempre.

Michele Zambardino

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