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Quel San Paolo indecente che non migliora mai

Non vorrei che il mio tornare a scrivere sul sempre amato Napolista partisse con un equivoco o con un’incomprensione, per tanto la premessa è d’obbligo: sono dalla parte di Benito Clemente, dalla parte della sua indignazione e di quelli che, ad ogni partita casalinga, la esprimono in tutte le forme possibili, sulle indecorose e incivili condizioni in cui siamo costretti a vivere questa malattia nel nostro Tempio. E però, siccome il grido di dolore diventa sempre più lancinante, per onestà intellettuale mi vien da dire che non c’è niente di nuovo sotto il cielo. Il San Paolo, a mia memoria, è stato sempre in condizioni di inciviltà anche negli anni in cui era oggetto di manutenzioni e restyling di varia natura.
Si dirà, ma oggi abbiamo toccato il fondo. Probabilmente è vero, ma lo è solo in parte, e non solo perché un vecchio detto ci dice che non c’è mai limite al peggio ma anche perché dipende da quale punto di vista si assume. Tralasciando i problemi di natura strutturale, come ad esempio quello che lo stadio sia stato costruito nel punto più basso di Fuorigrotta, che fa sì che tutte le acque dalla zona collinare di Monte Sant’Angelo confluiscano lì (bastano poche gocce per andare in tilt: nel settembre del 2001, alla vigilia di Napoli-Vicenza, per un nubifragio di 20 minuti siamo stati costretti a giocare per diversi mesi a Benevento), tutti gli aspetti sollevati da Clemente e da tanta parte dell’opinione pubblica sono stati una costante in tutte le fasi storiche.
Non so se e dopo quanti mesi, da quel 6 dicembre del 1959 che vide l’inaugurazione del San Paolo con la vittoria sulla Juventus per 2 a 1, sono iniziati i problemi e qui faccio appello ai malati di più lunga data. Ma so che da quando ho iniziato a frequentare il nostro stadio, ai miei occhi è stato sempre sotto i livelli standard di civiltà e non è mia intenzione aprire qui un dibattito su qual è la linea di confine tra civiltà e inciviltà. Chi mi conosce, sa che non riesco a stare lontano dal Tempio quando giocano i ragazzi, oggi ho staccato il mio 36° abbonamento su 52 anni e a mia memoria non mi sono mai trovato a vivere il San Paolo in maniera adeguata in rapporto alla struttura e ai servizi offerti. Ho iniziato a frequentare il Tempio nel lontano 1975 mettendo gli striscioni dei Napoli Club. A quei tempi, per fare questo lavoro, ogni Club Napoli aveva accesso per 3-4 affiliati che entravano alle 10 del mattino, le partite iniziavano tutte alle ore 16 in contemporanea e i cancelli si aprivano intorno alle 12/13 in base all’importanza del match. Non dimentico che per me rimaneva un mistero il fatto che quando mi recavo in bagno questi erano già leggermente allagati e quasi indecenti, pur essendo lo stadio ancora chiuso al pubblico.
Anche prima dell’introduzione dei sediolini c’era la necessità di munirsi di retina e detersivi per pulire le gradinate quando queste non erano spaccate, con relativi residui di pietre, rischiando anche di farsi male. Le partite si vedevano tutti in piedi e non c’erano discussioni sui posti assegnati, ma in compenso c’erano diverbi accesi con quelli che, puntualmente, arrivando in ritardo e cinque minuti prima dell’inizio, si mettevano dietro di te sulla tua gradinata lasciandoti in un equilibrio precario che nel corso dell’incontro, soprattutto dopo l’esultanza per un gol, ti scalzavano dal tuo posto e se protestavi rischiavi anche di prenderle. E’ vero che non c’erano le vetrate, ma se compravi un biglietto dei distinti dovevi fare attenzione a non capitare nelle gradinate troppo in basso. Per molti anni, infatti, il tunnel da cui uscivano le squadre era situato tra la fine dei distinti e la curva A (e se non ricordo male per un periodo anche nel lato opposto verso la B) protetto da grandi piloni, con una rete di copertura per evitare che lanci di oggetti contundenti, prima e dopo le partite, potessero colpire i giocatori e ciò impediva una corretta visibilità di un settore del campo.
E avrei gioco facile nel ricordare che la copertura fatta in occasione dei mondiali ‘90 ha iniziato a fare acqua già in occasione della prima pioggia o che i parcheggi non sono mai stati utilizzati perché subito impraticabili, tralasciando il materiale di amianto, scoperto alcuni anni dopo, utilizzato per la ristrutturazione. Per contro, decenni fa i prezzi all’interno dello stadio, per bevande e affini, non erano così esageratamente esorbitanti perché all’interno del Tempio entrava di tutto dal punto di vista culinario e spesso ti capitava di partecipare a veri e propri banchetti a base di salsicce e friarielli, passando per parmigiana di melanzane e frittate di maccheroni innaffiati da litri di vino rigorosamente rosso e che fosse gragnano, asprinio, solopaca, aglianico o taurasi poco importava, in attesa del fatidico urlo “e vi’ llocoooo!!” che stava ad indicare l’affacciarsi delle squadre dal tunnel.
Tutto questo per dire che facciamo bene, ad ogni partita, a continuare ad indignarci per come ci fanno vivere il nostro Tempio, consapevoli però, che storicamente lo straordinario popolo azzurro ha sempre avuto ragione nel reclamare che “meritiamo di più” – come avrebbero ritmato le curve – non solo sul rettangolo di gioco ma anche e soprattutto intorno ad esso.
Peppe Napolitano

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