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Nessuno ricorda Francillon, il portiere di Haiti

Prima ci provò Mazzola. Poi Facchetti. Poi Henry Francillon si trovò dinanzi Chinaglia e parò pure il suo tiro, prima di lanciarsi in tuffo su un colpo di testa di Gigi Riva. E di nuovo su Mazzola. Altre due volte. Alla fine del primo tempo Italia e Haiti erano 0-0. Un miracolo. Doppio miracolo. Perché a quelli di Haiti, nel giugno del ’74, pareva già tanto essere arrivati lì, ai campionati mondiali di Germania. Tanto che – successivamente – a un mondiale non ci sono tornati più.
Per esserci, per farcela, gli sforzi furono finanziati direttamente da Jean-Claude Duvalier, il figlio di François, detto Papa Doc, dittatore fino al ’71. Lo sciamano, lo stregone, la divinità vudù. Convinse gli Usa di poter essere un baluardo contro il comunismo di Castro. E aveva un metodo sicuro per quelli che in patria non si convincevano. Li ammazzava. Jean-Claude era suo figlio. Prese il potere a 19 anni, lo chiamavano Baby Doc, e sarebbe rimasto in carica fino alla rivolta popolare del 1986.
Ecco. Nel ’74 erano stati i Duvalier a ottenere dalla Fifa che tutte le gare di qualificazione ai mondiali del Centroamerica si tenessero ad Haiti. Ovviamente si qualificò Haiti. A tutti i giocatori venne regalata dal regime una Fiat 147 e un viaggio in Germania con mesi di anticipo. Perché si preparassero bene alla prima partita, Haiti contro Italia.
Antoine Tassy, il ct della squadra, teneva tutti i calciatori reclusi nell’ostello in cui alloggiavano. Uscirono solo una volta. Per una gita allo zoo. Henri Francillon, il portiere, era la stella della squadra. Una specie di acrobata. Haiti andò persino in vantaggio a inizio secondo tempo, e per 6 minuti – fino al pareggio di Rivera – a Port au Prince ci furono feste, caroselli e colpi di pistola sparati in aria. Poi Haiti crollò: 3 a 1. Non solo con l’Italia: 7-0 con la Polonia, 4-1 con l’Argentina. Quando tornarono a casa, i calciatori ci misero poco a capire che l’aria intorno a loro era cambiata. Baby Doc non volle neppure riceverli. Erano fuori dai Mondiali, fine dei privilegi.
Quell’Italia-Haiti la ricordiamo per il gol di Sanon che tolse il record d’imbattibilità a Zoff. E Francillon? Henry se ne tornò in Germania. Il Monaco 1860, la seconda squadra della Baviera, gli pagò un ingaggio mensile pari a 500 mila lire dell’epoca. Henri ne pagava 100 mila d’affitto. Ma faceva troppo freddo. E l’allenatore Merker lo cacciò perché non aveva imparato neppure una parola di tedesco. Tornò a casa e si diede alla politica. Solo che al senatore Francillon spararono un colpo di pistola, era il ’90, e lui capì per la seconda volta che l’aria era cambiata. Via di nuovo, stavolta a Boston. A fare il coach in un college.
La vita di Haiti non è più stata senza tormenti. Fino al terremoto del gennaio 2010. Lo stadio in cui la nazionale aveva giocato le partite per la qualificazione del ’74 è diventato un campo d’accoglienza. Il palazzo della federcalcio che Francillon frequentava, non c’è più. Caduto: 32 morti. I calciatori della nazionale sono stati portati tutti ad allenarsi in Texas. “Abbiamo buon cibo e dormiamo bene, ma non possiamo dimenticare chi è rimasto a casa”, disse da lì in quei giorni l’attaccante Herold. Per la prima volta sono tornati in campo a maggio 2010 in amichevole contro l’Argentina di Maradona. Quattro mesi dopo il terremoto e 36 anni dopo Francillon. E stasera di nuovo l’Italia.
tratto da ildivanosulcortileblogspot.it

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