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Una società di calcio o vince o guadagna. Tertium non datur e De Laurentiis ha scelto

Fino a qualche settimana fa il Napoli era in gara per vincere lo scudetto, Mazzarri era il suo profeta e Cavani quasi meglio di Maradona. Oggi il Napoli è fuori dalla gara, Mazzarri è criticato e la sua teoria che si possa segnare in otto secondi è solo una teoria, mentre Cavani è addirittura sul mercato. Costo: 65 milioni. Billy Nuzzolillo, tifoso del ciuccio, non si scandalizza. Piuttosto, chiede: ma dei 65 milioni che si incassano che ne facciamo? Ecco, se si vuol capire cosa sia il Napoli e quale sia il suo destino, si deve rispondere proprio a questa domanda. Prima rispondo e poi provo a spiegare: il Napoli non è una squadra fatta per vincere ma per guadagnare e i 65 milioni della probabile cessione del Matador saranno in parte reinvestiti per provare ad avere altri ottimi giocatori pagati poco e venduti a suon di milioni.

Secondo Mario Sconcerti – il testo di riferimento è Il calcio dei ricchi, Dalai editore – non è più possibile vincere senza spendere un tesoro. Non è una teoria. E’ un fatto. Chi vuole vincere deve spendere molto, se non si spende non si vince. In campo, naturalmente, non vanno i soldi ma i giocatori ma per avere i migliori giocatori bisogna tirare fuori molti e molti soldi. Il calcio moderno, tanto nazionale quanto internazionale, lo conferma. Le maggiori squadre vincono e non hanno bilanci in attivo. Recuperano soldi con i diritti televisivi ma se si vuole vincere i soldi vanno ancora spesi. Dunque, tre sono i principi o postulati del calcio contemporaneo.

Primo: vince solo chi spende molto.

Secondo: i soldi sono condizione necessaria per vincere, ma non danno la certezza della vittoria.

Terzo: la bravura di una società conta solo per come investe i soldi e non per come ne fa a meno. Farne a meno non è possibile.

Se date un rapido sguardo alla storia del calcio italiano negli ultimi venti/trent’anni vedrete la conferma di questi principi. Berlusconi in ventisei anni di Milan ha speso seicento milioni. Moratti idem (ma ha vinto molto meno). La Juve ha bilanci in rosso. Franco Sensi ha portato un altro scudetto a Roma ma ha fatto fuori il suo patrimonio. Ci sono eccezioni. Come il Verona nel 1985 o la Sampdoria nel 1991. Ma sono eccezioni che appartengono già a un’altra epoca. Allora le differenze erano minori. Ora sono maggiori e tendono sempre più ad aumentare. Negli anni Sessanta vinsero lo scudetto 7 squadre. Dal 2001 ad oggi solo 3. Chi ha vinto o ha cercato di essere competitivo, poi è tecnicamente fallito o è crollato come la Lazio di Cragnotti, la Roma di Sensi e il Parma di Tanzi. Dal 1994 ad oggi, tolte le eccezioni delle romane, hanno vinto sempre gli stessi: Juventus, Milan, Inter. Perché? Perché sono più bravi? Perché hanno i soldi per avere i più bravi. E qui entra in gioco il Napoli di Mazzarri, di Cavani, di Hamsik e di de Laurentiis.

Pur non avendo i bilanci in rosso come la Juventus, il Napoli ha lottato fino a qualche settimana fa contendendole la vittoria finale. Poi, il crollo. Il Napoli è stato a un passo dall’impresa pur non rispettando in pieno il primo postulato: vince chi spende di più. Le spese del Napoli però sono cresciute: due anni fa la società pagava 28 milioni di stipendi, lo scorso anno 41 e ora 53. Si è lontani dalle tre grandi società di Torino e Milano ma la crescita è progressiva. Il Napoli ha messo a frutto una generazione di giocatori pagati poco, che non avevano l’obbligo della vittoria finale, ma ora i suoi costi stanno salendo e salendo molto e nel giro di due anni tutto sarà il doppio. Più sale in classifica, più salgono gli stipendi. La cessione di Lavezzi è servita a far quadrare il bilancio. Ed ecco il punto che ci porta a Cavani: i suoi 65 milioni pagano tutto il Napoli di oggi e avanzano più di dieci milioni. Ecco allora che ai tre principi o postulati si può e si deve aggiungere il quarto: se non si deve vincere, nel calcio spesso si guadagna. Il Napoli rientra in questa categoria e per continuare ad essere una squadra che non vince ma guadagna deve vendere il suo Matador.
Giancristiano Desiderio

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