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La deriva razzista del calcio italiano è preoccupante, è il caso di fermarsi a discuterne

Notte di vittoria, di giubilo popolare dopo lo spettacolo calcistico. Nello stadio vicino al Tevere un grumo forte di passioni, emozioni, esultanze ( e depressioni in bianco-nero). Per il Napoli un riconoscimento desiderato e accolto con gioia irrefrenabile. Cortei, caroselli, bandiere e striscioni ne sono la testimonianza entusiastica e visibile. E ora si guarda avanti, ai traguardi nuovi, alle nuove sfide. Chi ha vissuto la vittoriosa serata dell’Olimpico ha però anche respirato qualche atmosfera diversa, immersa in altre dimensioni, entrate da qualche tempo nel mondo italiano del foot ball. E che con lo sport più popolare hanno acquisito una vicinanza negativa e allarmante. Si vedono e si ascoltano sempre di più espressioni di ”razzismo” negli stadi e in certi ambienti del tifo legato a squadre del nord, rivolte ai tifosi di squadre del sud, in particolare del Napoli. E le manifestazioni di questo modo nefasto di confrontarsi sono ormai percebili in ogni posto sopra il 38esimo parallelo in cui il Napoli vada a giocare. Atteggiamenti che non solo esprimono un intollerabile livore ma producono sempre più larghe e odiose imitazioni, così come chiamano risposte e risentimenti al di qua del Garigliano. Un’assurda patina di visioni discriminatorie va a spalmarsi sul tessuto già molto caldo dei rapporti tra i settori più radicali di alcune tifoserie, le società calcistiche e gli organi pubblici di vigilanza. Ne deriva un costante innalzamento delle tensioni che si agitano intorno agli incontri di calcio. Una tendenza che potrebbe, se non venisse fermata in tempo, compromettere alla lunga anche il futuro della palla rotonda in un paese come l’Italia, in cui si dice di amarlo tanto questo sport, che però è in grado di irradiare il suo fascino solo se non viene inquinato o deviato. Tra le tante speculazioni che si sono tentate, o si tentano, ai danni del calcio (trampolino per la politica, obiettivi di arricchimento, smanie di protagonismo) questa sarebbe la peggiore, perché spezzerebbe il rapporto con la gente, che al calcio chiede una simbologia di appartenenze e di confronto battagliero ma leale, che unisca nell’ammirazione del gioco e delle qualità degli atleti. Il pubblico sa comprendere – lo ha dimostrato – anche errori e strategie sbagliate ma non potrebbe riconoscersi in una visione da ”guerra civile” tollerata o addirittura manovrata. Chi soffia sul fuoco delle aggressioni verbali e degli atteggiamenti discriminatori o palesemente razzisti verso i supporters di altre squadre va messo in condizioni di non farlo. È un compito urgente di chi dirige il mondo del calcio italiano e di ogni altra autorità competente. La deriva, su questo scivoloso e assurdo terreno, potrebbe avere effetti disastrosi. Mimmo Liguoro

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