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Ma uno svizzero può mai giocare a calcio? Inler, ti voglio bene, però non c’entri niente col Napoli

Adesso che non c’è/più Topo Gigio/che cosa me ne frega/della Svizzera”. Aveva ragione Vasco Rossi, quando nei versi di “Adesso che tocca a me” affrontò e risolse brillantemente il tema dell’invidia per l’amena e civilissima Svizzera. Per un essere umano che ha avuto la fortuna di nascere in Italia, al netto dei Rolex e dell’Emmenthal, resta poco. Per un amante del calcio, nulla.

Queste considerazioni le facemmo, l’estate scorsa, sottovoce, ridacchiandoci su per scaramanzia, io e Massimiliano Gallo, nel giorno dell’arrivo di Inler a Napoli, travestito da Re Leone. «E’ un grande giocatore», ci dicemmo. E io, rompiscatole come sempre: «Sì, però quando mai uno svizzero ha saputo giocare a pallone? Fammi un nome». E nessuno di noi ebbe il coraggio di pronunciare quel nome: “Sesa”. L’antropologia calcistica non è una scienza esatta, ovviamente, ma qualche spunto lo offre anche a noi, che ci ritroviamo prematuramente a ragionare sulla prossima stagione del Napoli. De Laurentiis s’è già espresso: può andare via solo Lavezzi, se gli piace la steppa.

Io la penso diversamente: per me dei tre tenori dovrebbe andare via il quarto, “Farinelli” Inler,la voce bianca che quest’anno ha stonato, quasi sempre. Pagato quindici milioni di euro, oggi vale almeno il 30% in meno. Ecco perché va venduto subito, al migliore o al peggiore offerente. Io mi sbilancio, sperando di essere smentito in questo finale di stagione: non va, non funziona, ha peggiorato il nostro centrocampo, non è un fenomeno in assoluto ma qui da noi quei passaggetti scontati all’indietro o lateralmente (che ci hanno spesso ricordato il peggior Cigarini) ci servono meno degli assist in curva di Gargano. I soldi di Inler, invece, ci servono per prendere chiunque altro abbia fosforo e personalità, prima che sia troppo tardi.

Dobbiamo avere l’onesta di ammettere che lo svizzero rischia di essere il nostro Felipe Melo, il nostro Zarate, il nostro Quaresma. Gente che se la vendi dopo un anno, qualcosa recuperi, dopo due rischi di darlo in beneficenza. Non che Inler non sia un buon giocatore, tutt’altro, ma è evidente ormai che con lui il salto di qualità non lo faremo mai. Non resta che arrenderci all’evidenza della vita, prima che del calcio: quella che a tutti noi ha riservato un’auto nuova che ci lasciava a piedi sempre su via Kagoshima; una fidanzata bona che con gli amici e i parenti non funzionava manco se le piazzavi il “gobbo” davanti; un amico che non ci abbandonava mai nei momenti difficili ma non azzeccava un consiglio manco a pagarlo. Capita. Senza rancore, Gokhan. Ti voglio bene. Per questo voglio lasciarti andare.
Luca Maurelli

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