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Il Napolista come il vecchio (caro) Pci, diviso tra massimalisti, miglioristi e frazionisti

Il Napolista come il vecchio (caro) Pci, diviso tra massimalisti, miglioristi e frazionisti

“Il Napolista mi ricorda sempre di più il vecchio Pci dove si confrontavano miglioristi e massimalisti”. Questo commento fu scritto qualche mese fa da Valentino Di Giacomo a proposito delle nostre discussioni sul Napolista pro e contro il presidente, la società, il mercato etc.

Così Admin mi chiama e mi chiede “perché non fai un pezzo sulle correnti nel Pci in rapporto alle nostre discussioni?” ‘Sti cazzi, direbbe la Puglia, hai detto niente.

Due premesse sono però necessarie: la prima è che queste righe non hanno alcuna pretesa ma nascono con un intento leggero, se non di cazzeggio, anche per non mischiare il sacro con il profano (a voi capire qual è il sacro e qual è il profano).

La seconda, unica nota seria, è che chi scrive nel lontano 82 fece quello che Giorgio Amendola definì e descrisse con un meraviglioso libro auto-biografico “una scelta di vita” e cioè lavorare a tempo pieno prima per la Fgci (federazione giovanile comunista italiana) e poi per il Pci fino al suo scioglimento. Ho lavorato per diversi anni fino al 91 nel mitico Bottegone, come veniva definita dalla pubblicistica la storica sede della direzione nazionale del Pci situata in via delle Botteghe Oscure a Roma. Allo scioglimento del Pci ho fatto altre scelte fino a lasciare il funzionariato a tempo pieno e guardare con sempre più disincanto al panorama politico che la sinistra ha offerto e offre ancora oggi. Insomma sono uno di quelli che pensa che lo scioglimento del Pci sia una delle cause dell’attuale asfissia che caratterizza la sinistra tutta e non perché alla fine degli anni 80 non vi fosse la necessità di una riflessione sui caratteri strategici della sinistra e delle sue forme organizzate ma perché l’analisi fatta, che era alla base della proposta di scioglimento, fu, a mio modesto parere, sbagliata e ancora oggi si pagano le
conseguenze.

Ma qui il ragionamento si farebbe serio e meriterebbe altre sedi e contesti e, soprattutto, tradirei la premessa iniziale non prima, però, di dirvi che di quegli anni non solo non rinnego niente ma ne vado fiero e orgoglioso.

E ora veniamo a noi.

La suggestione di Valentino in rapporto alle discussioni sul Napolista è calzante ma il dibattito nel Pci, pur apparendo per moltissimi anni un blocco monolitico grazie al principio del centralismo democratico (non erano ammesse correnti e il dissenso si poteva esprimere solo negli organismi dirigenti, ma una volta decisa la linea tutti dovevano attenersi pubblicamente a quella) era molto più complesso e articolato della divisione tra miglioristi e sinistra come poi si è visto dopo che fu abolito il centralismo democratico.

Oltre a questo schematismo c’era il Grande centro, anch’esso molto articolato e variegato, incarnato quasi sempre dalla figura del segretario non solo per il carisma che poteva esercitare. E per tante generazioni quello di Enrico Berlinguer è stato un collante straordinario per la sua visione etica non solo della politica.

Intanto per moltissimi anni non si è mai parlato di correnti ma di “sensibilità” o di “orientamenti culturali” ed effettivamente era cosi, perché anche all’interno dei singoli schieramenti c’erano sfumature, se non vere e proprie culture politiche diverse.

Questo per dire che, guardando anche agli schieramenti del dibattito nel Napolista, vanno colte sfumature e sottolineature non sempre coincidenti pur sostenendo la stessa tesi di difesa o di critica o apparire paradossali.

Intanto i nostri miglioristi/napolisti vivono con disagio le critiche alla società perché ispirati da sano realismo: eravamo in C appena 6 anni fa; la società è in costante crescita; è inutile pensare di poter competere con le grandi potenze economiche e sognare i top- player; bisogna migliorare e crescere gradualmente. Poi le sfumature e i paradossi. Giorgio Amendola, che dei miglioristi del Pci è stata la figura storica più autorevole e forte, era sul piano della politica interna un “liberale”, ma su quella estera un ortodosso: basti pensare che nel ’79 si espresse in direzione contraria alla condanna dell’invasione sovietica dell’Afghanistan. Così anche per qualche migliorista/napolista: sul piano interno, se si sacrifica il campionato chi se ne frega, se poi sul piano estero facciamo una grande Champions. Poi ci sono quelli che “il partito ha sempre ragione”, nel nostro caso le scelte della società sono sempre azzeccate a prescindere, compresa la conferma, è proprio il caso di dirlo, del compagno Lucarelli.

I massimalisti/napolisti si possono riconoscere nel grido di battaglia “caccia ’e sorde!” tale per cui le campagne acquisti, se ispirate a criteri di crescita graduale, non sono da ritenere adeguate alla nostra storia e al nostro bacino di tifosi e se le cose non vanno come dovrebbero andare Bigon deve rassegnare subito le dimissioni. Sono quelli a cui viene l’orticaria se ricordi che 6 anni fa eravamo in C ma noi siamo il Napoli e dobbiamo competere alla pari in Italia e in Europa.

Ma anche qui vanno colte sensibilità diverse, come quelle della sinistra critica e movimentista che, in nome del diritto al dissenso dalla linea ufficiale, mette in conto anche di farsi espellere o di fare scissioni. Così nella sinistra movimentista/napolista se si tocca il Pocho su queste pagine si prevedono scissioni dolorose quasi come quella di Livorno del ’21.

Quando vigeva il centralismo democratico, se provavi ad organizzare il dissenso poteva colpirti l’accusa di frazionismo che voleva sottintendere attività contro il partito. Una barbarie!

Nel Napolista l’accusa di frazionismo emerge appena un pezzo, o qualche commento, avanza esplicite critiche o se queste si manifestano anche con pezzi di provocazioni intelligenti che, si sa, sono il sale dei dibattiti in qualsiasi contesto. E allora sei un frazionista per attività contro il Napoli perché in fondo non sei mai stato un vero tifoso e se critichi scelte o dichiarazioni del Presidente è perché non vuoi il bene del Napoli. Una barbarie!

Quando nel Pci si abolì il centralismo democratico e si ammise per statuto la possibilità di dar vita a componenti organizzate, fu talmente forte la novità che nel volgere di alcuni anni la geografia interna diventò molto ma molto variegata, fino al punto di vedere nascere anche le sub-componenti, seppur per una fase non in modo ufficiale.

Nel Napolista il processo è stato inverso. Siamo nati senza controlli dei commenti e nel corso della nostra crescita esponenziale questo ha determinato una discussione, per usare un eufemismo, non più gestibile per i continui scontri verbali e, in molti casi, anche di insulti tra i commentatori.

Tutto ciò ha portato i soci fondatori al passaggio dalla prima alla seconda Repubblica Napolista, non a caso annunciata il 14 Luglio dello scorso anno, con l’introduzione del controllo dei commenti.

Una nuova e moderna forma di centralismo democratico?

Infine, per concludere questo giochino, vorrei dire che ogni posizione del dibattito espressa sul sito avrei potuto identificarla con il nome di qualche napolista. Ognuno di noi può riconoscersi e riconoscere, per quello che ha scritto nel corso dell’esistenza del Napolista, in qualche posizione o in nessuna di quelle, che in modo schematico, ho riportato.

Ma per rimanere al “paraustiello” con il Pci, è troppo forte la tentazione di identificare i nostri soci fondatori con alcuni protagonisti di quella storia e non per il loro aspetto caratteriale o di somiglianza fisica ma per come li abbiamo conosciuti attraverso i loro scritti sul Napolista e non solo.

Innanzitutto Massimiliano Gallo: potrei dire Giancarlo Pajetta, combattente e amante della provocazione e dalla battuta sferzante.

Fabrizio d’Esposito: l’eretico Luigi Pintor la più bella penna, a mio modesto giudizio, che la sinistra italiana abbia mai avuto. Chiaro e efficace come nessuno mai. Mi auguro di non vedere mai un pezzo sul Napolista a sua firma e dal titolo “Non moriremo Pochiani”, parafrasando l’indimenticabile fondo di Pintor “Non moriremo democristiani”.

Ilaria Puglia: verrebbe da dire la lady per antonomasia del Pci, Nilde Jotti, e invece dico Luciana Castellina, donna di forti passioni, impegnata in mille attività, grande curiosità di conoscere e indagare il mondo e le sue contraddizioni nonché grande giornalista.

Infine il mitico Admin/Gianluca Agata: lui sembra l’indimenticabile Alessandro Natta, mite e paziente tessitore, mediatore instancabile nonché uomo di grandissima cultura e che incarnava perfettamente il grande centro Berlingueriano.

 

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