Napoli-Juventus attira allo stadio gente di tutti i tipi. E’ uno di quei richiami atavici cui non puoi sottrarti. Soprattutto se hai la fortuna di avere il biglietto tra le mani non puoi lasciare che il vento te lo porti via. Anzi la pioggia. E soprattutto se i biglietti sono quattro. Formato famiglia.
Ebbene, loro il richiamo del San Paolo l’hanno ascoltato, accolto e assecondato. E io ho ascoltato, accolto e assecondato il loro richiamo. Che mi accingo a condividere con voi.
Un paio di file più in alto, ecco l’allegra famigliola. Padre, madre e due figlie. Un uomo e tre donne. E il parallelo con la mia di famigliola che più di vent’anni fa andava in curva, viene spontaneo. E, in effetti, anche la madre in questione sembra essere uscita da una foto dell’epoca, se non prima. La differenza con la mia di famiglia la fa l’età delle figlie. Noi eravamo delle bimbette affascinate dal contesto, ma a stento vedevamo il campo, loro poco più che adolescenti sono consapevoli della bolgia in cui i genitori le hanno portate. O forse sono loro ad aver portato i genitori.
La felice famigliola si gode il pre-partita gustandosi i nostri cori anti-juve, sorride su alcune paroline di troppo su Cigarini, accusato di lesa maestà nei confronti del Matador. Agita la mano per invertire la direzione del fumo-anti-stress che sale dalla nostra fila. Con il risultato che a noi comunque non si è stemperato lo stress e a loro gli è venuto.
La bella famigliola è silenziosa, sorride e non si scompone. Come nel miglior vademecum del buon tifoso di curva. E osserva volentieri noi, che invece ci scomponiamo anche troppo.
Del padre non saprei dirvi. Non che non l’abbia visto o che non sia stato un tipo da raccontare, ma il pezzo forte sono sicuramente le tre donne. La madre, capello castano, gonfio. Molto gonfio. Gli occhiali da vista grandi. Molto grandi. Sciarpa…pardon! Foulard, che fa più chic, del Napoli al collo. Sorriso stampato e testa che girava a destra e a sinistra in un ritmo quasi predefinito. Figlia maggiore, capello lungo e nero. Vestita alla moda. Sorriso stampato e testa che girava a destra e a sinistra allo stesso ritmo della mamma. Figlia minore, capello lungo e castano. Vestita alla moda. Sorriso stampato e testa che girava a destra e a sinistra allo stesso ritmo della sorella.
Le tre grazie, senza alcuna allusione a battute inopportune, sono felici di essere lì e si vede. E quando entrano i giocatori per il riscaldamento, li riconoscono tutti, uno ad uno. Alla faccia di chi fino ad ora ha pensato che fossero tipe occasionali dal rivenditore-biglietti-amico della più becera fattura.
Esultano ai due goal del primo tempo. Arriva poi l’intervallo, ed è lì che commettono l’errore. In barba, questa volta, a qualsiasi vademecum del buon tifoso di curva che si rispetti, cacciano dallo zaino un panino megagalattico ripieno delle due polpette date fino a quel momento ai bianconeri. Facce estasiate, più dal panino che dal risultato. Anche perché fosse stato solo per questo, le facce sarebbero cambiate di lì a poco.
Comincia il secondo tempo e qui mi fermo. Non so più dirvi nulla della famigliola simpatica sopra di me. Mi si è piazzata una nebbia torinese davanti agli occhi e non li ho più visti. Se mi fossi girata e avessi visto quei tre sorrisi estasiati ancora dal panino avrei dato sfogo a tutta la violenza che c’è in me al suon di “Singing in the rain”, che viste le circostanze del rinvio di questa stessa partita, ci stava anche bene. Ho perso le tracce della signora appena uscita da un episodio di “Happy Days” e trovato quelle di un suicidio compiuto sotto i nostri occhi, dai nostri azzurri, nella nostra area, dentro la nostra porta.
Immagino che siano tornate a casa con il panino sullo stomaco. Magari felici per il punto preso contro la capolista. Magari sono tornate a casa ancora girando la testa a destra e a sinistra cercando di capire perché intorno ci fosse rabbia e delusione. Magari hanno anche dato una pacca sulla spalla e un sorriso a chi gli era seduto accanto, il quale avrà cominciato a sentir montare in lontananza la musichetta di “Singing in the rain”. Come biasimarlo. Magari sabato le incontro di nuovo perché lo spettacolo è piaciuto. E magari dirò loro che il panino si mangia prima. Magari dopo. Ma non durante. Mai durante. E magari loro mi guarderanno e senza scomporsi asseconderanno la mia pazzia. Ovviamente, il tutto con un sorriso.
Deborah Divertito