Da bambini tifosi lo si può diventare per tradizioni familiari, influenzati dagli amichetti di classe o più semplicemente per simpatia verso la squadra vincente del momento o per diversi e svariati episodi che ti avvicinino al tifo e che ognuno potrebbe raccontare. Ma malati che, come è noto, è cosa assai diversa dall’essere tifoso, si diventa o si nasce? Se guardo alla mia esperienza, che mi è stato chiesto di raccontare, penso che malati si nasce ed io, modestamente, lo nacqui. In famiglia nessuno che seguisse né il Napoli né il calcio, alle scuole elementari dalle suore nel mio corso erano tutti alle prese con soldatini e cose varie ma niente calci ad un pallone eppure, pur non essendoci i mezzi di comunicazioni attuali a 8/10 anni( si era nel ‘68/’70), la passione e la malattia per la maglia azzurra mi vennero naturali, anni in cui cercavo di seguire il Napoli per radioline e televisore in bianco e nero fino a crocifiggere i miei genitori perché volevo andare allo stadio. Mio padre, operaio specializzato all’ex Aeritalia ( attualmente Alenia), un po’ per problemi economici e un po’ per apprensione, non ne voleva sapere fino a quando un suo collega – il sig.De Felice, persona gentilissima, uno degli animatori del club Napoli di Via Duomo (o dei Cristallini, non ricordo bene) – gli propose di farmi andare con lui o con i suoi figli grandi. A quel tempo i club Napoli avevano l’autorizzazioni per 3-4 persone per l’accesso allo stadio alle 10 del mattino circa, per sistemare gli striscioni sugli spalti. E cosi spesso le mie domeniche calcistiche iniziavano alle 8 del mattino con mio padre che mi accompagnava a casa del suo collega e da lì si andava allo stadio. Una volta messi gli striscioni iniziava l’attesa, che per me era interminabile, fino alle 16. Devo dire che il San Paolo vuoto, con la presenza di un centinaio di persone collocate nei vari settori, era suggestiva e quando verso le 13-13,30 iniziavano a entrare i primi spettatori l’attesa era meno pesante. E così è iniziata la mia avventura allo stadio con il Napoli di Vinicio. Dopo qualche anno ho iniziato a fare l’abbonamento, a rate tramite il Cral aziendale di papà, in curva B e quando nell’83 mi sono fidanzato con Ilaria, la mia attuale moglie, ho fatto l’abbonamento anche a lei per renderla partecipe di cosa l’aspettasse se mi avesse sposato. E, non so se per rassegnazione o per vero amore, non l’ha rinnovato ma non mi ha mai posto alcun problema per le tante, tantissime domeniche lasciata sola e ho il “sospetto” che l’abbia fatto per amore. Comunque ho sempre rinnovato l’abbonamento (dopo la curva B, i Distinti, poi un anno di Tribuna Laterale,oggi Nisida , e poi, dal 93, in Tribuna Posillipo, sempre la stessa poltroncina). Esagerato? E allora aggiungo che, pur vivendo per 14 anni fuori Napoli per lavoro (3 anni in Puglia e 11 a Roma), sono sempre ritornato, da qualsiasi posto mi trovassi, la domenica al San Paolo a soffrire sugli spalti. Ma la malattia si manifesta anche con altri sintomi. Fin da ragazzo quando va male la partita mi prendono dolori di stomaco e la notte non dormo. Tralasciando le tante lacrime versate e iniziate con il 6 a 2 inflittoci dalla Juve al San Paolo nel ‘74 e le ultime con il ritorno in A nel 2007. Nei primi anni in cui si manifesta la malattia ci si ride un po’ sopra, ma ti prendono anche in giro e può pure capitare che litighi con i parenti perché manchi a qualche evento familiare. Ma poi, dopo anni di dura gavetta, tutto diventa normale e chi è vicino a te lo accetta con naturalezza; tanto che, quando si tratta di fissare la data di qualche evento in famiglia (prima comunione o battesimo dei nipotini o matrimoni ) ti telefonano per verificare se giochiamo in casa o fuori . E diventa anche naturale che tua mamma quasi ottantenne da anni la domenica chieda ai nipoti “che ha fatto il Napoli?” e si disperi quando le dicono che ha perso o pareggiato. E questo non perché sia diventata tifosa, ma perché partecipe dei dolori del figlio, tanto da commentare puntualmente “povero Peppeniello! ”.Grande cuore di Mamma! Così come diventa naturale che, quando tua figlia ti deve chiedere un “permesso” (uscite, rientri a tarda ora, maggiorazioni di paghette), si informa prima del risultato del Napoli perché “se ha vinto, questo è il momento buono”. Ora, a 50 anni, e con un figlio maschio ancora piccolo, sono alle prese con un altro grande quesito: se malati del Napoli si nasce, sarà una malattia ereditaria? Ma questa è un’altra storia
Peppe Napolitano