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C’è chi specula sulle vergogne napoletane

E’ Natale. E io come tutti dovrei provare ad essere più buono, ma  proprio non ci riesco. Non ho mai amato particolarmente il Natale e a dirla tutta “nun me piace o presep” e gli struffoli mi fanno letteralmente schifo. Tranquilli, non voglio iscrivermi al partito in difesa dei padani albero di Natale e panettone, anzi in un certo senso voglio  fare il contrario, voglio  prendermela con un tipo di napoletano che  si accoda servilmente alla reprimenda giornaliera che la nostra città subisce dai media nazionali.
Voglio prendermela con una tipologia che io chiamerei zio Tom. Quel napoletano che è sempre pronto a cospargersi il capo di cenere, che prova profonda vergogna per la sua città e che se potesse cambierebbe il luogo di nascita sulla carta d’identità, quello il cui motto è “ma non tutti i napoletani sono incivili”, quello che una volta costretto ad emigrare non perde occasione per prendere le distanze dalla sua città.
Parliamo del napoletano che si vergogna di essere napoletano, uno zio Tom, appunto. Non ho alcuna intenzione di inserirmi nel dibattito  su Napoli e la modernità, fra post-moderni e modernizzatori, voglio semplicemente dire che senza orgoglio non si va da nessuna parte. Per essere chiari non mi interessa riavere il Re, anzi ‘O Re e mi sento lontano anni luce dalla retorica sudista e dai neoborbonici, certo ho letto con piacere Nicola Zitara e Pino Aprile, ma non è questo il punto, sono semplicemente stanco che la mia città venga umiliata. Qualcuno direbbe giustamente che sono i napoletani e i politici che eleggono a farlo. Vero, niente da dire a riguardo. Ma sono altrettanto convinto che la cascata di disprezzo che ogni giorno si riversa su di noi non ci aiuta assolutamente a nulla, anzi è funzionale a mantenere lo stato di minorità in cui siamo piombati  e da cui noi napoletani non riusciamo o non vogliamo riscattarci, comportandoci come dei bravi zio Tom.
Il calcio come per tantissime cose è un osservatorio privilegiato, il San Paolo disvela ogni domenica tutte le dinamiche che attraversano e animano la nostra stupenda città, i suoi linguaggi e la sua mentalità. Consiglierei a chi vuole governare la città di farsi un giro in curva o nei distinti per capire cos’è realmente Napoli, magari oltre a passargli la voglia di farlo, cosa che in alcuni casi sarebbe un gran risultato, capirebbe in che modo la città rappresenta se stessa e come “comunica”.
La prospettiva calcistica mi offre due argomenti per provare a spiegare cosa io intenda per zio Tom: il comportamento di alcuni giocatori napoletani che giocano “all’estero”, e l’incapacità o forse dovrei dire impossibilità, dei tifosi azzurri di diventare una comunità coesa. Di Natale, Migliaccio, Nocerino, Palladino e forse anche il mio, un tempo amatissimo, Quagliarella, sono un esempio del zio Tom calcistico. “Non sono di Napoli, ma di un paese della sua provincia che si chiama Mugnano”,  ha sostenuto a mezzo stampa uno di questi napoletani-con-imbarazzo,  pronti ad interpretare la parte del napoletano buono, quello che, cioè, quando parla della sua città lo deve fare sempre con mille cautele e tantissimi distinguo, si perché noi napoletani siamo gli unici che quando diciamo di amare la nostra città dobbiamo aggiungere un “anche se..”  In questo i calciatori zio Tom sono dei professionisti:  non tornerebbero mai a giocare a Napoli, o almeno così  sostengono, sono sempre in prima fila a criticare la città (per quanto riguarda Napoli, il termine di critica costruttiva non esiste, esiste la critica che serve a marcare una alterità e basta) e quando giocano contro di noi mettono una grinta e una cattiveria sportiva che sa tanto di provocazione. I tifosi delle loro squadre  inneggiano al Vesuvio e loro vanno a segnare con un nostro giocatore a terra e  la difesa immobile. Più zio Tom di così non si potrebbe.
Per quanto riguarda i tifosi il discorso è più interessante, stiamo assistendo a una sorta di riedizione dei “due popoli” di cui ci parlava Cuoco. In  questa schematizzazione ci sono i tifosi-per-bene e la plebe informe e sediziosa delle curve. Abbiamo i tifosi più violenti d’Italia, è inutile negarlo, abbiamo assistito ad episodi vomitevoli come l’aggressione prima della partita in casa contro il Liverpool, però il punto non è solo questo, la condanna non basta, come non basta e non serve la sociologia spicciola. Il punto è che sostenere che Napoli è una vergognosa eccezione nel panorama calcistico italiano oltre ad essere falso non basta ad innescare un cambiamento reale nel rapporto fra tifo e città. Quello che voglio provare a dire è che se vogliamo che il San Paolo diventi uno stadio normale, dobbiamo sia tenere conto delle specificità e della composizione del nostro tifo, sia tenere ben presente che quando si parla del Napoli la stampa nazionale lo fa con le solite categorie stantie e i classici stereotipi. Il presunto caso del treno vandalizzato di Roma Napoli esemplifica alla perfezione questo modo con cui l’Italia guarda il Napoli e i suoi tifosi. Sono stati pochissimi i giornalisti che hanno provato a spiegare che la lettura fatta dai media nazionali era affrettata e non rispondeva del tutto alla realtà,  dimostrando che come al solito le cose quando riguarda Napoli sono più complicate rispetto al semplificazione operata a mezzo stampa. 
Si è sempre pronti ad indignarsi per Napoli, c’è chi di questa pratica ne ha fatto una professione redditizia accreditandosi così con i medi nazionali, ma sono pochissimi pronti a far sentire la loro voce quando Napoli, il Napoli e i suoi tifosi sono oggetto di una artata costruzione giornalistica. Sono tantissimi i tifosi  azzurri ad avere una sorta  di un riflesso pavloviano per il quale appena parte una critica verso il San Paolo e i suoi tifosi, subito ci si deve accodare e prendere le distanze. Non si può nascondere che noi tifosi azzurri non siamo una comunità unita,  divisi fra chi i fustigatori nostrani, gli zio Tom e frange iperviolente non riusciamo a reagire, troviamo normale che nella stragrande maggioranza degli stadi covi un odio antinapoletano, facciamo finta di non sentire i beceri cori che intonano le curve di mezza Italia e non riusciamo ad ottenere che per certe cose basilari e normali come l’acquisto dei biglietti per le trasferte europee le cose avvengano come per ogni società europea. 
Continuiamo a pensare di essere come ci descrivono e non quello che  siamo e che  dovremmo essere. Sono convinto che solo ritrovando l’orgoglio perduto si possa migliorare e cambiare,  e l’orgoglio si ritrova tenendosi ben lontani dai napoletani che infangano la nostra città come da quelli che sanno  solo indignarsi. Per chi come me crede che il Napoli è “mas que un club” questa stagione sta regalando momenti indimenticabili, sono orgoglioso di tifare per gli azzurri e vorrei che l’orgoglio che noi tifosi proviamo si estendesse a tutta la città. Vorrei anche  che noi napoletani trovassimo un modo  nostro per poter dire amo il Napoli e Napoli, senza gli “anche se..” dei vari  zio Tom.
Andrea Pomella

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