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Notte azzurra a Liverpool per la storia

Quando si entra ad Anfield si ha l’impressione di entrare in un altro mondo. Grande solennità, degna di un tempio più che di uno stadio: quello che sorprende è il contesto; nessuna cattedrale in periferia, una strada come tante, mattoni rossi a segnare l’irripetibilità del luogo, uno stadio di calcio. Ti prende un blocco, qui allo stomaco, anche se sei solo uno spettatore, figurarsi se scendi lì a giocarti una gran fetta di gloria. Sarà più o meno questo lo stato d’animo dei giocatori del Napoli nella trasferta di Liverpool che legittima la grande rincorsa cominciata dalla serie C1 cinque anni fa. Praticamente ieri, anche se sembra essere passata un’eternità. Conta poco o niente tutto il resto: il quarto posto nel campionato italiano contro i modestissimi 12 punti conquistati da Hodgson nella Premier; per due ore almeno sarà un dettaglio anche la metamorfosi dirigenziale che ha allontanato dal Liverpool i padroni meno amati. Tutto in una notte, a prescindere dai calcoli aritmetici sulle possibilità di qualificazione ìn Europa League. È in gioco l’onore, della squadra, dei suoi tifosi, dei protagonisti che andranno in campo. Per disposizione ufficiale è stato sconsigliato l’azzurro, un colore che con il cielo inglese indubbiamente si combina pochissimo: dominerà il rosso, dalla Kop alle tribune vintage. Non vi lasceremo mai soli, intonano gli irriducibili, la risposta napoletana è nei fatti, nella spedizione popolare naturalmente aggregatasi quasi per moto spontaneo.

In Inghilterra Lavezzi e Hamsik godono di una gran fama, Cavani vorrebbe presentarsi alla sua maniera, perfetta sintesi di abilità e di agilità, doti che, là dove sostengono d’aver inventato il calcio, risultano molto apprezzate. Sempre i soliti tre: Lavezzi, Hamsik, Cavani, il simbolo a tre punte della squadra. E questo succede solo a Napoli: altrove c’è solo un giocatore simbolo, uno che emerge su tutti. Dappertutto, ma non nel Napoli, dove il Grande Idolo ha abbandonato la scena 19 anni fa: da allora s’è vissuto nell’attesa di una reincarnazione. A giudicare dalle feste per i 50 anni di Maradona, ci deve essere ancora chi ci crede; vista l’impossibilità del miracolo, è meglio però dividerle per tre le responsabilità, una ripartizione equa che non pesa com’era successo per altri aspiranti leader. Anche se proprio l’Inimitabile induce in tentazione, liberando la maglia numero 10 dal blocco perenne e investendo l’altro argentino Lavezzi del titolo di erede. Psicologicamente questa è una trappola, e la buona fede di Maradona – innamorato vero di Napoli e del Napoli – non deve ingannare. Meglio marciare in fila per tre, più che un vertice davanti c’è una barriera che fa tanta consistenza e pochissimo fumo. Così Anfied fa meno paura, somiglia quasi a uno stadio normale della provincia inglese. E invece è un tempio, il luogo perfetto per consacrare tre campioni e una squadra.

Massimo Corcione
Il Mattino

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