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Il mio Maradona,
ribelle come Napoli

Lo ha portato a Napoli nel 1984. Da allora il rapporto con il più grande calciatore di tutti i tempi è stato intenso, in parte controverso, di certo mai banale. Corrado Ferlaino, il presidente di Maradona a Napoli, rivolge gli auguri per i 50 anni di «Diego, una persona alla quale ho voluto e voglio ancora molto bene».
Ingegnere, quale augurio gli rivolgerà, in particolare?
«Di essere sempre e comunque protagonista nel calcio, come è sempre stato. Gli auguro di vederlo ancora in una grossa manifestazione calcistica».
Lo chiamerà sabato per i suoi primi 50 anni?
«Gli farò gli auguri, direttamente o tramite Bagni, questo è certo. Non lo sento da tempo, ma non sono il solo».
Ci descrive il suo rapporto con Maradona?
«Maradona era ed è fondamentalmente un ribelle, io invece rappresentavo l’ordine, la disciplina, in quanto presidente di club. Due aspetti che non vanno sempre d’accordo».
Anche per questo non l’ha lasciato andare al Marsiglia?
«Non l’ho ceduto nell’interesse del Napoli, che poi infatti ha vinto il secondo scudetto. Non sono stato il suo “carceriere”, come lui mi definì: ho sempre amato il calcio e questo sport è fatto di regole. Non sono mai stato un puritano, ma da dirigente mi interessava che i calciatori rendessero al massimo: in questo senso un atleta che tira tardi o che beve non rende. E poi se Maradona fosse andato via i tifosi se la sarebbero presa con me».
Che rapporto ha avuto con Diego?
«Buono, gli ho voluto e gli voglio ancora molto bene. Abbiamo avuto degli strappi, ad un certo punto il nostro rapporto si ruppe, poi però abbiamo fatto pace. La verità è che Diego è un bravissimo ragazzo, non è capace di grossi risentimenti. E anzi, tra i giocatori che ho avuto Maradona è uno di qulli che ha mostrato meno interesse per le questioni economiche. Diego amava il calcio per il calcio, non per altri motivi. Lo sanno tutti che nei primi anni andava persino a giocare a pallone al Parco della Rimembranza, rischiando anche di farsi male».
Eppure la sua immagine nel mondo non è così positiva…
«Perché ha avuto i problemi che sappiamo, ma anche perché Maradona vinceva con il Napoli e questo attirava su di sé e su di noi le invidie di tutti. Anche la questione dei suoi debiti fiscali ne è un esempio».
In che senso?
«È giusto che le tasse si paghino, innanzitutto. Però anche Careca ed Alemao ebbero la cartella esattoriale, fecero reclamo e vinsero. Quel ricorso Maradona non l’ha mai fatto, forse non ha mai saputo dell’esistenza di quella possibilità. E allora accade che appena mette piede in Italia gli sequestrano gli orecchini o gli orologi. Ci sono tante persone che non pagano le tasse…».
Se pensa a Maradona, quale è il suo ricordo più vivo?
«Ce ne sono tanti, legati ai trionfi. A me viene però in mente il ritiro a Vietri sul Mare (il cosiddetto ritiro della pace, ndr) al suo primo anno. Le cose andavano male, lui non accettò il ritiro lungo sin dal martedì. Lo convincemmo dicendogli: ”Se non vieni non giochi”. Iniziammo una splendida rimonta sino all’ottavo posto finale, per me fu una grande vittoria della società».
Maradona invece cosa ha rappresentato per Napoli?
«Un napoletano. Diego è un partenopeo perché è un ribelle come noi. Da sempre, e soprattutto in questo periodo storico, il mondo ci comanda e i napoletani si sono sempre ribellati ad una realtà che non ci va bene. Lui è stato l’alfiere dei partenopei».
Pensando a Maradona ha qualche rimpianto?
«No, le cose evidentemente dovevano andare così. Penso invece che Napoli, nel periodo degli scudetti, avendo cinque ministri e due segretari di partito, avrebbe potuto rilanciarsi a livello mondiale, anche attraverso il calcio. È stato un appuntamento che non abbiamo sfruttato».
In conclusione a Diego che messaggio spedisce?
«Spero che torni protagonista: non so se da allenatore, che è un ruolo che poco gli si addice, ma se diventa meno ribelle può diventare anche un grandissimo tecnico. Auguri, Diego»
Dario sarnataro (da Il Mattino)

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