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Il visionario Sarri, con il suo calcio, ha creato una comunità

Sarri mi ha inguaiato, non riesco più a guardare altre partite di calcio. Non si stanca mai di creare

Il visionario Sarri, con il suo calcio, ha creato una comunità

Sarri mi ha inguaiato

Sarri Maurizio mi ha letteralmente inguaiato! Da quando il suo Napoli gioca in questo modo impetuoso, ipnotico, avvolgente, senza pausa (e in questo senza pausa c’è tutta la differenza con il sin pausa beniteziano, il quale però aggiungeva un, non senza conseguenze, sin prisa, senza fretta, che marca tutta la distanza tra la fame atavica di uno e la fame da… ora di pranzo dell’altro), io non riesco più a vedere altre partite di calcio.

E non solo e non tanto perché sono appassionatamente tifoso del Napoli.

No, è che le trovo, da un po’ di mesi a questa parte, irrimediabilmente noiose, di una prevedibilità totali.

Non riesco a guardare le altre partite di calcio

La semifinale derby di Champions tra Atletico Madrid e Real? Assenza di gioco creativo, trionfo delle individualità: l’Atletico distrugge gioco altrui (ma lo fa con gran classe e costrutto, va detto) e il Real che, privo di una precisa idea di gioco che non sia affidarsi al talento (cosa pagherebbe altrimenti con il suo mostruoso monte-ingaggi?), non fa che… affidarsi appunto al talento e all’estemporaneità del talento, anzi del genio che, come direbbero gli amici miei monicelliani, altro non è che “fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione” dei vari, enormi, CR7, Modric, Benzema, Marcelo e Sergio Ramos.

La finale di Coppa Italia? Una partita in bilico tra un preliminare del fu Intertoto (per dis-intensità di gioco e totale mancata incertezza sul risultato finale, come quando una squadra italiana, tedesca o inglese ne acchiappava una maltese, cipriota o finlandese) e un trofeo Berlusconi fuori sede e fuori stagione: lanci dei difensori della Lazio calibrati sui raccattapalle, palloni arrivati alla punta centrale della Juventus in numero inferiore alle dita di una mano… mozza e così via.

Una partita, una finale, priva di un bel po’ di quel po’ di talento che entrambe le squadre pure hanno (Cuadrado e Felipe Anderson) ma soprattutto prive di un’idea, di una visione, prive di quel pezzo di marmo da sbozzare e sculturare che risponde genericamente al nome e al cognome di gioco.

Sarri è un visionario

Non sto parlando di schemi, di tattiche, di filosofia calcistica, no. Sto parlando di una visione, di un’idea applicata e verificata sul campo ma a partire da un paesaggio mentale, da un’animazione, da un cartone animato che la mente crea davanti al proprio schermo visivo e che una persona, in questo caso un allenatore, cerca di tradurre e applicare alla realtà.

Parliamoci chiaro, questo Sarri Maurizio qui è proprio un visionario, una sorta di marziano che, come pochi altri prima di lui (a me, nel recente passato, viene in mente solo e soltanto il Guardiola), pensa, crea, applica, sbaglia, ricrea, ripensa, si scontra con la finitezza umana (le serie inferiori, gli esoneri, i tentativi di creare qualcosa di nuovo, di progressivo, i fatturati le fatture e le fattucchiere) ma poi attraverso l’infinitezza del pensiero riparte daccapo e ci riprova e soprattutto non si stanca.

No, Sarri Maurizio non si stanca, non si è stancato ancora di pensare, di creare, di sbagliare, di riprovare, di capire e di applicare.

Questa è la visionarietà di uno che non è solo un allenatore e non è solo un pensatore.

Callejon come Abebe Bikila

Questa è la visionarietà di uno che prova a creare, di un aspirante poeta che al posto dei versi, delle parole, della musicalità, delle legature e delle spezzature, gioca con il movimento continuo dei suoi calciatori, con una pressione costante e quasi innaturale (la linea di difesa sulla linea di centrocampo, ossimoro che spezza il campo, lo rimpicciolisce, crea una gabbia senza vie di fuga per gli avversari), con triangolazioni continue, con linee di passaggio a parallelepipedi variabili, con infinite corse senza palla (Callejon è un Abebe Bikila con le scarpette e il senso del gol) e palla che corre e svaria come fosse la punta di una penna a sfera che il poeta (Sarri Maurizio in tuta e mozziconcino in bocca) usa per scrivere la sua personale partita, creando i segni che diventeranno parole e senso, in questo caso azioni e gol e, appunto, senso in quanto visione che si concretizza lì, in tempo reale.

Detto tutto questo, Sarri Maurizio mi ha inguaiato!

Ha creato una comunità

Ormai, ci ha fatti abituare a questa creatività espansa che si traduce in una comunità che non vuol dire semplicemente squadra; il Napoli campione d’inverno 2016 e campione di primavera 2017 (mettendo assieme i due mezzi campionati, ecco apparire… uno scudetto) non è solo una squadra nel senso letterale della parola.

Il suo gioco indica la possibilità dell’esistenza di un organismo nel quale tutti sanno sempre cosa fare e lo fanno con gusto (che poi lo eseguano bene o meno è un altro paio di maniche, anzi di calzoncini), di un organismo nel quale il linguaggio del corpo collettivo (chi, come me, fa teatro e mastica teatro mattina, pomeriggio e sera, sa bene quante similitudini possano esserci tra il teatro e gli sport di squadra, come sostiene da sempre il decano dei registi, l’ultranovantenne Peter Brook, e quanto, in entrambi i campi, il linguaggio del corpo detti legge) mostra l’esistenza di una vera comunità, laddove con questo termine non faccio un semplice riferimento a simpatie vagamente politiche, no.

Peter Brook

Non voglio dietrologizzare, indagando su presunte simpatie di sinistra (chi ha voluto rendere forte ed evidente il suo status politico e sociale l’ha fatto; certo, sono stati in pochissimi purtroppo, ma questo è figlio di un conformismo e bigottismo che vanno di pari passo con quelli dell’intero paese, cari miei), ma voglio cogliere il senso ultimo del termine comunità, quello per cui intendiamo un insieme di persone unite tra loro da rapporti di varia natura. E se successo, danaro e gloria sono quelli più evidenti, mi sa che in molti sottovalutano quello più arcano, quello più misterioso: appartenere ad un gruppo di iniziati, un gruppo speciale nel quale vigono le stesse regole degli altri per poi, però, tradurle in modo diverso, in modo originale, in modo unico e per questo identificante.

Ecco, in questo preciso momento, i giocatori del Napoli dicono, attraverso il loro linguaggio del corpo, in partita e fuori, che si sentono così, che sono così, che non hanno alcuna intenzione di non sentirsi più così, che grazie al fatto di essere così sono diventati una comunità che respira all’unisono, in moltissimi momenti, e che prova a respirare all’unisono in sempre più momenti.

Condividere una visione

E ancor più per tale motivo, dato che una tale evenienza è cosa rarissima, il Sarri Maurizio mi ha inguaiato (da anni, anni e anni questa magia non si vede nel nostrano gioco del calcio; e non mi si venga a ricordare il Milan di Sacchi di cui parleremo in una prossima occasione) e mi sta letteralmente intossicando la visione anche solo dei quattro minuti di highlights del resto del mondo pallonaro.

Ma il sempre succitato Sarri Maurizio ha anche regalato a me e a tutti quelli che amano il calcio, non per il fenomeno sociale e sociologico che pure è (purtroppo, sotto molti punti di vista) ma per la creazione umana vitale, metaforica ed istruttiva che nel profondo è, la possibilità di condividere una visione e di vederla concretizzarsi in diretta, settimana dopo settimana, partita dopo partita, a volte pienamente, altre volte sfrangiata.

Ma sempre di visione si tratta.

La comunità figlia della sua visione è diventata una comunità di persone che godono di questa visione collettiva, prendendo atto di una particolare, notevole, conseguenza: si può fare, può accadere, è dunque pensabile e realizzabile creare una comunità pulsante e respirante. E loro, i calciatori, ne sono la dimostrazione: fatica, lavoro, applicazione, intelligenza, invenzione, linguaggio del corpo.

Ovviamente, non senza il contributo di tanti: da chi gestisce una società di calcio, che oggi è pur sempre un’azienda che deve/vuole fare profitti, a chi fa parte della visione, i calciatori stessi; da chi quella visione non sa vederla ancora e poi invece la vive e la partecipa, a chi ne gode (tifosi o semplici appassionati del calcio-calcio, non del calcio contrappositivo e miseramente tifosardo) a chi infine la subisce, quella visione in movimento (ma è mai capitato di sentire così tanti altri allenatori dire, tra le righe o esplicitamente, di essersi sentiti quasi impotenti di fronte alle trame reticolari, alla rete avviluppante del gioco di Sarri Maurizio e dei suoi accoliti?).

E con tutto questo discorso, qui, non stiamo parlando solo di calcio, sia chiaro.

autore, drammaturgo, sceneggiatore e regista teatrale e cinematografico

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