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Napoli, non aver paura di essere grande. E di essere te stesso

La consapevolezza di poter essere grande senza dover per forza maturare. Il Napoli potrebbe trarre spunto da Mertens, e scegliere senza remore la strada della propria bellezza.

Napoli, non aver paura di essere grande. E di essere te stesso

Coach Carter

La nostra più grande paura non è quella di essere inadeguati. La nostra più grande paura è quella di essere potenti al di là di ogni misura. È la nostra luce, non la nostra oscurità che più ci spaventa. Ci chiediamo, chi sono io per essere brillante, bellissimo, pieno di talento e favoloso? In realtà, chi sei tu per non esserlo? Sei figlio di Dio. Il tuo giocare in piccolo non serve al mondo. Non c’è niente di illuminato a sminuire se stessi in modo che altre persone non si sentano insicure vicino a te. Siamo tutti nati per brillare come fanno i bambini. Siamo nati per manifestare la gloria di Dio che è dentro di noi. Non solo in alcuni di noi, ma in tutti noi. E mentre lasciamo che la nostra luce risplenda, inconsciamente diamo agli altri la possibilità di fare altrettanto. E quando siamo liberati dalle nostre paure, la nostra presenza automaticamente libera gli altri.

Questo è un paragrafo del romanzo “A Return to Love”, opera prima della scrittrice statunitense Marianne Williamson. L’abstract è ripreso anche in una scena di “Coach Carter”, pellicola del 2005 interpretata da Samuel L. Jackson e ispirata a una storia vera della pallacanestro americana. A proposito, gran film, caldamente consigliato.

La grandezza

Mi capita di pensare spesso, in un’ottica di auto miglioramento, alle frasi di cui sopra. Mi sta capitando nuovamente da ieri, da quando Alfonso Fasano, su queste pagine, ha parlato in questi termini del momento che sta vivendo il Napoli e delle sue prospettive future:

Siamo a pieno titolo una grande squadra, il nostro prossimo match di Champions si giocherà al Santiago Bernabeu perché ci siamo guadagnati non solo il diritto di giocarlo, un ottavo di finale, ma ci siamo arrivati da primi del girone. Siamo a un punto dalla Roma e dai noi stessi dell’anno scorso, pur avendo perso il nostro Cristiano Ronaldo, Messi, il nostro unico fuoriclasse. Abbiamo costruito una squadra ricca di alternative in tutti i ruoli. E ora, non dobbiamo avere paura di questo. Di questa grandezza.

Io, e il Napoli

Lo avrete capito, sono uno di quelli che vive la sua squadra a 360 gradi, quasi come un’estensione della propria persona. Come capita certamente a molti altri, sovrappongo le mie vicissitudini personali a quelle degli azzurri. In maniera, è vero, spesso eccessiva. A volte, tuttavia, capita che le similitudini ci siano davvero e forse questo è ancora più inquietante. Non vi tedierò con racconti sulla mia vita. Dirò solo, in maniera funzionale al discorso, che in questo momento ho delle strade che, potenzialmente, potrebbero aprirsi davanti a me. Eppure, per quanto possa sembrare paradossale, non riesco a esserne felice fino in fondo e la cosa mi preoccupa. Mi viene quasi più facile pensare ai problemi che potrebbero derivarne. Sarà, forse, l’abitudine ad un’aurea mediocritas, o peggio, il timore che tanto dietro l’angolo ci sia la solita fregatura in agguato, che non tarderà a manifestarsi.

La prestazione del Napoli di ieri ha ricalcato tutto questo. Un primo tempo spettacolare, che io e chi ha guardato la partita insieme a me abbiamo passato a spellarci le mani dagli applausi e a scambiarci sguardi increduli. Quello cui stavamo assistendo sembrava quasi irreale. Infatti, è seguito un secondo tempo in cui invece la banda di Sarri è ricaduta nei soliti difetti. Dietro un pizzico di presunzione e autocompiacimento c’erano, al tempo stesso, l’ansia di dover gestire la situazione e la paura di non riuscirci al meglio, di commettere vecchi errori, quasi di non poter essere in grado di mantenere quanto mostrato.

Essere se stessi

Si è sempre detto: “Questa squadra non sa amministrare, se non gioca al massimo non riesce a rendere”. E se fosse proprio quella la strada? Se la via per la grandezza definitiva fosse quella di essere se stessi fino in fondo? Liberandosi da ogni timore, dall’ansia di dover dimostrare di dover essere cresciuti, di essere “maturati”. Essendo consapevoli di chi si è e di quello che si può dare, senza nessun filtro o ulteriore artifizio o costrizione. Dando libero sfogo alle proprie capacità per quelle che sono e non per quelle che dovrebbero essere. Che tanto, se alla fine non si è capaci di scendere a compromessi, vale di più la pena fare esattamente il contrario. Lasciando agli altri il proprio modo di essere e seguendo con fiducia il proprio. A occhio, chi pare esserci già riuscito è Mertens.

Una persona che conosco oggi mi ha detto: “Se ti discosti troppo da chi sei veramente, non ne trai benefici, anzi. L’unico risultato che ottieni è quello di sembrare goffo”. Già. Perché farlo quando si può essere belli, armoniosi, efficaci, spietati?

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