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«La Premier sa gestire i diritti tv, non hanno svenduto il calcio. Economicamente non conviene cedere Higuain»

«La Premier sa gestire i diritti tv, non hanno svenduto il calcio. Economicamente non conviene cedere Higuain»

La Premier, i soldi delle televisioni, la distanza ormai abissale con il campionato italiano. E poi, come se non bastasse, il comprensibile bombardamento mediatico sul Leicester campione e sul futuro di un campionato che, tanto per gradire, ha recentemente firmato un accordo da 7 miliardi di euro per la cessione dei diritti televisivi. Insomma, l’Inghilterra è l’assoluto centro di gravità del mondo-calcio.

Noi, che abbiamo voluto capire i perché di questa egemonia economica ma anche culturale, abbiamo avuto la possibilità di parlarne con Giovanni Armanini. Un giornalista che è doppiamente dentro l’analisi del fenomeno Premier. Perché vive a Manchester e perché è il coordinatore editoriale del sito Calcio&Finanza.it. Quindi, come dire: chi meglio di lui?

Appunto, nessuno meglio di lui per capire e interpretare quello che sta succedendo e che succederà. Ma anche e soprattutto per interrogarsi e rispondere sui perché dell’attuale distanza tra il sistema calcistico italiano e inglese, sugli errori commessi in passato e su quello che bisogna migliorare. Tutto parte dalla storia, da una diversa concezione “primordiale” del calcio: «Ricordiamoci che noi siamo l’Italia. Un luogo in cui, nel 1952, il principe Raimondo Lanza di Trabia fondò un luogo fisico per discutere di calciomercato. In Inghilterra, invece, il Manchester United è stato acquistato nel 1902, quando si chiamava ancora Newton Heath, da un gruppo di imprenditori locali capeggiati da un grande industriale della birra (John Henry Davies, ndr). La volontà, ovviamente, era anche quella di creare business intorno alla squadra di calcio, di far fruttare la passione popolare intorno allo sport. In Italia, invece, siamo stati sempre legati ai presidenti-mecenati e alla loro volontà di investire i propri capitali nel calcio, soprattutto quando si tratta di grandi calciatori e di scambi di mercato. C’è una differenza culturale di fondo che arriva fino ai giorni nostri».

I giorni nostri, appunto. I giorni in cui il campionato più bello e ricco del mondo, e non parliamo ovviamente della Serie A, si prepara a incassare cifre astronomiche dalle televisioni. Un retaggio di questa diversa configurazione storica, ma anche la capacità di valorizzare al massimo il prodotto. Ecco come: «La prima cosa che porta così in alto il prezzo della Premier è la valorizzazione dell’esclusiva. E questa idea si può guardare da diverse angolazioni. Intanto, la scelta consapevole di limitare il numero di partite trasmesse in televisione: l’anno prossimo sarà pari al 44%. Le televisioni acquistano il campionato e le partite che il campionato ti mette a disposizione. I tifosi, in un secondo momento, comprano la stessa cosa. Non comprano la possibilità di vedere la propria squadra, ma alcune partite del torneo cui è iscritta. In questo modo, un Tottenham-Everton acquista audience, e quindi valore commerciale, anche per chi magari è un tifoso del Manchester City. Allo stesso modo, è anche una scelta di fasce orarie: nessuna partita del sabato alle 15 viene trasmessa in diretta. Quello, per gli inglesi, è l’orario per il calcio e del calcio allo stadio. In prima divisione, ma anche giù lungo tutta la piramide delle categorie. In questo modo, si permette al tifoso da stadio di seguire la propria squadra qualsiasi essa sia e a prescindere dal campionato a cui è iscritta. E le partite trasmesse alla tv aumentano il proprio valore, esattamente come le videosintesi mandate in onda alla sera nel programma “Match of the day”. Che è una domenica sportiva made in Uk dove però si guardano i gol, più che parlare». Capiamo cosa intende rileggendo un suo articolo (questo), in cui troviamo la divisione esatta delle cifre e che il pacchetto degli highlights è stato venduto alla Bbc per 202 milioni di euro.

Le differenze con l’Italia: «La frase che potrebbe racchiudere questo concetto di distanza è “abbiamo voluto mangiare subito tutta la torta”. L’Italia vende dei pacchetti riferiti all’intero campionato (appannaggio di Sky), ma intanto permette che le prime otto squadre in classifica siano trasmesse anche su un’altra piattaforma. Questo, ovviamente, fa abbassare il valore delle partite. I match trasmessi in esclusiva da Sky, ovvero quelli riferiti alle piccole squadre del nostro campionato, hanno un valore appena pari al 6,42% di quanto sborsato. La differenza di costo è troppo elevata rispetto alla reale portata del prezzo. Mandare tutto in onda è stato un presupposto sbagliato, non ci sono margini di crescita. Errato anche il ragionamento che portò le piccole squadre, nel 2003, a tentare l’esperimento Gioco Calcio. Gli stessi club che decisero di autoprodursi per poter in qualche modo trattare individualmente i diritti riferiti ai loro match di campionato, furono gli stessi a richiedere, dopo neanche un anno, che si tornasse a parlare di contrattazione collettiva».

La differenza principale, quindi, sta proprio nell’approccio iniziale al prodotto messo in vendita per le televisioni. Ma anche in tutto quello che c’è attorno alla partita, attorno al campionato: «Noi siamo latini, e il contesto italiano è un po’ la moltiplicazione massimale del concetto che sto per esprimere. Ovvero, quello della partita che inizia a settembre e finisce a maggio, con tanti sbalzi umorali all’interno della curva di domanda e offerta dei tifosi. Lo vedi allo stadio, della Juventus come del Napoli e della Roma durante la stagione. In Inghilterra, l’appartenenza al club dura per tutte le partite, davvero al di là dei risultati. E poi c’è una diversa concezione del marketing, che parte dal primato linguistico e arriva fino a una vera e propria strategia della narrazione. L’inglese permette di connettersi facilmente e più velocemente con tanti posti nel mondo, e questo è un vantaggio. È una lingua immediata, e questo è un secondo punto a favore. Loro, però, hanno saputo costruire dei veri racconti su questi loro primati “genetici”. Pensiamo al Boxing Day, che noi oggi vogliamo in ogni modo scimmiottare e riprodurre. Loro hanno statistiche apposite, lunghe storie riferite ai precedenti Santo Stefano in campo. Farlo in Italia per la prima volta, a quale narrazione potrebbe portare? Sarebbe forse meglio sfruttare una particolarità solo nostra per aumentare l’appeal: mi viene in mente il giorno dell’Epifania o ancora meglio la Supercoppa giocata a dicembre, in chiusura d’anno. Per farvela breve: al di là delle contingenze favorevoli, ricordate di più Juventus-Lazio di questa estate o Juventus-Napoli dell’anno scorso? Costruire una narrazione su un evento così, che prima di Natale chiude l’anno solare assegnando un trofeo, potrebbe essere interessante dal punto di vista del marketing».

La differenza di calcio, proprio a livello di campo, potrebbe aver influenzato l’incremento dei prezzi della Premier. Il famoso gioco veloce, senza proteste e molto spettacolare, ha un ruolo fondamentale per questa crescita così forte. Per Giovanni Armanini, fino a un certo punto: «Probabilmente, lo spettacolo della Premier è più televisivo, ma le motivazioni sono altre. Sono la gestione, la promozione e il posizionamento nel mercato degli eventi e dei vari pacchetti a fare la differenza».

Il futuro: «La squadra che l’anno prossimo arriverà ultima in Premier League incasserà 150 milioni di euro dai tv rights. Questo, ovviamente, porterà i club inglesi ad avere una possibilità di spesa insostenibile per tutte le squadre europee meno che Bayern, Psg, Barcellona e Real. Non vorrei, però, che questo fosse un’arma a doppio taglio. Perché l’aumento della disponibilità economica non genera alcun aumento del talento a disposizione. Nel senso che i calciatori sono sempre gli stessi, si rischia solo di aumentare il prezzo e quindi strapagare anche calciatori che non lo meriterebbero. A livello di equilibri tra squadre, quello che succederà dall’anno prossimo contribuirà ad aumentare ancora la competitività di un campionato già molto livellato. Basti pensare non tanto alla vittoria del Leicester, quanto alle 46 partite perse complessivamente da Arsenal, City, United, Liverpool e Chelsea. La squadra di Ranieri ha approfittato di questa quota bassa per vincere uno storico trofeo. La suddivisione più equa può essere una strada anche per noi, che con cifre molto più basse finiremmo per mettere ancora più a repentaglio la competitività a livello europeo».

Dall’Inghilterra, il focus si sposta poi verso l’Italia. E l’analisi trascende il discorso sui diritti televisivi e finisce per abbracciare l’intera mentalità progettuale del nostro calcio. Si parla anche di Napoli, nel bene e nel male: «Prima ho detto che da noi le partite iniziano a settembre e finiscono a maggio. Vero, soprattutto in ambienti oppressivi e ossessivi come Roma o Napoli. La Juventus subisce di meno pressioni di questo genere, ma la situazione non è tanto diversa. La verità è che bisogna cercare di migliorare prendendo delle decisioni. In Olanda, ad esempio, hanno scelto di mantenere una propria linea e di perdere competitività europea. In Italia, dove questo non è auspicabile, sarebbe giusto abbandonare la mentalità della vittoria a ogni costo. Pensate a come abbiamo perso il terzo posto nel ranking nonostante il maggior numero di vittorie in Champions rispetto all’Inghilterra tra il 2000 e il 2010 (Italia 3, Inghilterra 2). Mentre noi pensavamo alla sola affermazione finale, magari esaltando l’exploit di una singola squadra, le altre nazioni piazzavano due squadre in semifinale di Champions e altrettante in Europa League. Soprattutto questa seconda competizione, è stata completamente snobbata dall’Italia. I risultati si costruiscono stando sempre lì. Come l’anno scorso il Napoli e la Fiorentina, o la stessa Juventus che poi perde la finale. Intanto c’è arrivata. Ecco perché vedo benissimo il Napoli, soprattutto rispetto alla sua storia. Il club partenopeo sta vivendo il suo miglior momento di sempre, le prospettive sono eccellenti eppure la città non vive con serenità questa crescita. Ed è un peccato, davvero».

In chiusura, Armanini parla ancora del Napoli. E ci spiega perché non conviene vendere Higuain: «Sento dire in giro che con gli 80 milioni della sua cessione acquisti quattro giocatori da 20. Ma il problema è: questi quattro calciatori da 20 ti danno le stesse garanzie di Higuain? E poi, la convenienza economica non c’è, o almeno non è così elevata: se acquisti quattro calciatori da 20 milioni, il loro mantenimento lordo costa molto più che tenere Higuain in organico. Del resto, avreste dovuto capirlo con Cavani. L’avete ceduto tre anni fa, e solo ora state per ritornare davvero in Champions League. Non vi è bastata la lezione?». Chissà, ora forse sì.

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