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Insigne e il girarrosto. Un talento sottovalutato solo perché nato in periferia di Napoli e non in una banlieue

Insigne e il girarrosto. Un talento sottovalutato solo perché nato in periferia di Napoli e non in una banlieue

Un paio di anni fa ho conosciuto per caso il figlio dell’uomo che gestisce un famoso girarrosto a Orta di Atella (o forse era solo un amico del figlio dell’uomo che gestisce un famoso girarrosto a Orta di Atella) dove pare che, di tanto in tanto, vada a rifornirsi di pollo alla brace Lorenzo Insigne. Questa persona mi raccontava come il nostro beniamino fosse un habitué del posto, prima da semplice ragazzo dell’hinterland, poi da calciatore del Napoli, infine da uno dei più celebrati talenti della sua generazione. Di solito – sosteneva il ragazzo – Insigne parcheggia l’auto sul ciglio della strada, lascia sua moglie ad aspettarlo e si dirige dall’uomo che gestisce il famoso girarrosto di Orta di Atella per acquistare un bel cartoccio di carne bianca bruciacchiata con tanto di patate spugnate nel sugo, spruzzato con quell’intruglio magico che non si sa bene cosa sia, proprio come piace fare a tanti tra noi che abitiamo a queste gastriche latitudini. Pare persino che una volta Genny, la moglie di Lorenzo, abbia suonato il clacson per dire al suo giovane maritino di fare presto, di spicciarsi, come diremmo sempre noi che con il nostro asso condividiamo lo stesso codice culturale di partenza, l’imprinting direbbe qualcuno.

Ecco. A parte il fatto che qualcuno più normale di me non sprecherebbe il suo tempo a pensare alla quantità di pollo che ingurgita uno dei suoi beniamini calcistici, tuttavia a me questa immagine, reale o meno – anche se non ho motivi per dubitare di ciò che mi raccontò quel ragazzo, figlio o amico del figlio dell’uomo che gestisce un famoso girarrosto a Orta di Atella – così napoletana, così antropologicamente illuminante di un contesto e dei suoi abitanti, famosi o meno, mi ha sempre intenerito. Ci ho ripensato l’altro giorno dopo quel tiro con cui Lorenzo ha segnato un fantastico goal al Verona, solo l’ultima di sette perle con cui finora ha deliziato il suo e il nostro campionato. Poi però mi son detto: questa faccenda del pollo di Orta di Atella è anche il vero limite imposto a una seria analisi sul giocatore che sta diventando (o che è già diventato) Insigne. Come se la sua contiguità culturale con la periferia e la provincia napoletana fosse un prisma che ancora non ci permette di guardare con oggettività all’importanza di questo calciatore.

Insomma, ho l’impressione che se Lorenzo provenisse da una banlieue parigina con una cicatrice sul volto – mi faccio vanto di essere il primo a scrivere da parecchi giorni a questa parta di banlieue parigina senza fare accenno all’Isis – noi oggi lo osanneremo ben più di quanto stiamo facendo. Se fosse spagnolo, altrettanto. Se poi fosse addirittura argentino, non oso nemmeno immaginarlo. Per molto meno, al suo primo anno di serie A, il pocho Lavezzi assunse al rango di divinità, una leggenda a tutt’oggi seconda solo a quella di Maradona.

Quello che voglio dire è che dobbiamo smetterla di sottovalutare Insigne perché napoletano. Di certo non dobbiamo nemmeno sovraccaricarlo di responsabilità, né intimamente sperare che il Barcellona o la Juventus si facciano vivi per portarcelo via. C’è ancora molto da fare perché diventi un campione, ma mantenersi nel tempo sui livelli che ultimamente ha espresso significherebbe consacrarlo per sempre alla leggenda della nostra squadra e probabilmente della nazionale. E allora hai voglia a ridere sotto i baffi, pensando ai giorni in cui quel ragazzo si fermava a comprare il pollo da un famoso girarrosto di Orta di Atella, amena cittadina del casertano confinante con Frattaminore da un lato, Casapuzzano dall’altro e Sant’Arpino sul fianco. Dunque, lunga vita ai polletti alla brace che ti hanno reso così forte, Lorenzo, ammesso che la storia che mi ha raccontato quel tizio sia vera. Speriamo fortissimamente che tu non sia mai tentato di sostituire questo fiero, nobilissimo pasto suburbano con delle tapas spagnole o una bagna cauda piemontese.
Massimiliano Virgilio

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