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La domenica antisportiva di Torino e Bergamo (e dei loro dirigenti)

La domenica antisportiva di Torino e Bergamo (e dei loro dirigenti)

Proviamo a rimettere ordine nelle idee messe a dura prova dai fatti orribili accaduti domenica pomeriggio a Torino e a Bergamo, collaudate roccaforti del razzismo calcistico anti meridionale e dell’intolleranza nei confronti dell’avversario da affrontare come un nemico da abbattere. E in qualche caso da uccidere. Parliamo, cioè, di reati gravissimi, non solo per il codice sportivo, che, però, non sono stati mai puniti in maniera esemplare. E che, per molti versi, sono all’origine anche degli ultimi gravissimi incidenti, atteso che l’orrore di domenica discende in primo luogo dalla mancanza di una vera cultura sportiva. Che autorizza qualche scellerato a ipotizzare che una madre sconvolta dal dolore per il barbaro assassinio del figlio possa speculare sulla tragedia che ha segnato la vita della sua famiglia. Si riconosce a parole la violenza ma nei fatti si continua a privilegiare la severità strillata, non quella praticata e per questo si tira in ballo un giorno sì e l’altro pure il modello inglese, ma, in realtà, non sappiamo neanche di cosa parliamo. Il presidente Tavecchio ha definito eversivi gli incidenti di Torino e ha perfettamente ragione ma, di grazia, lui in questi anni (è nel calcio da molto prima di diventare presidente della Figc) dove era?

A fare da contraltare a questo scenario di guerra ci sono – questo va detto per amore della verità – le immagini gioiose del San Paolo prima durante e dopo lo show del Napoli stellare di Benitez che ha asfaltato la Sampdoria dell’allievo Mihailovic apparsa al confronto impacciata e balbettante, che hanno ristabilito le giuste distanze tra i tecnici così come era successo quando a sfidare il prof era stato Vincenzino Montella. L’allegria del San Paolo, però, non cancella l’orrore delle sequenze trasmesse da Torino e da Bergamo. Che sono ancora ben presenti e incombono come una minaccia che va ben oltre il fatto in sé.

Siamo all’ultima spiaggia, o si stronca la violenza o si va tutti a casa. E valga il vero. Sugli spalti, semivuoti, del San Paolo domenica sera le telecamere hanno rilanciato l’immagine rassicurante di decine, centinaia di bambini e mamme felici di esserci e di partecipare alla festa. Qualche ora prima, invece, nella tribuna dell’Olimpico torinese solo per miracolo i frammenti delle poltroncine frantumate dalla bomba carta non hanno investito bambini e mamme che allo stadio probabilmente non andranno più. C’è da essere seriamente preoccupati e non saranno certo le parole di circostanza del ministro Alfano – puniremo i colpevoli, dormite tranquilli – o, peggio ancora, le dichiarazioni di dirigenti come Marotta e Marino che a nome di Juventus e Atalanta (per difendere il pugno di Denis), mentre la loro ancora bruciava, a restituirci la fiducia. Quei dirigenti si sono preoccupati solo di difendere una onorabilità ormai compromessa e non più difendibile. E lo sforzo è proseguito nei talk show televisivi durante i quali, al solito, si è scelto di dire il minimo indispensabile. E, se possibile, anche di meno. Un silenzio assordante, rotto, per fortuna, da un ascoltatore senza volto il quale, mortificato, si è permesso di dire e non hanno fatto in tempo a zittirlo che a questo punto bisogna sospendere i campionati. Potrebbe essere la misura giusta, ma sappiamo bene che è anche la meno praticabile. Iniziamo, piuttosto, dai provvedimenti che si possono far rispettare: organizziamo, ad esempio, un controllo più severo agli ingressi, spezziamo le catene perverse tra le società e gli ultras, puniamo il razzismo che semina odio non con un buffetto sulla guancia di chi si augura che il Vesuvio i napoletani e le cose andranno sicuramente meglio. Ma davvero vogliamo questo?
Carlo Franco

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