A 19 anni Han Willhoft-King molla Manchester City e nazionale per studiare a Oxford: «Il calcio non è stimolante, mi annoiava»
«Allenarsi con Guardiola significa pressare e basta. Correvamo dietro alla palla come cani per mezz'ora, 60 minuti. Poi non fai più niente per il resto del giorno. Oggi le mie giornate sono piene e stimolanti»

Han Willhoft-King ha 19 anni, e la prospettiva molto solida di ottenere a breve una vita fatta di fama, soldi, lusso e successo. Gioca – anzi: giocava – nel Manchester City. E s’è scocciato. Ha deciso – lo raccontano tra gli altri As e il Guardian – di scambiare gli scarpini con i libri e, si iscriverà a un corso di laurea in Giurisprudenza presso la prestigiosa Università di Oxford. “Mi sono sempre sentito poco motivato dal calcio. Non fraintendetemi, lo amavo, ma sentivo di poter fare di più”.
Nato da padre di origini indiane e inglesi e da madre di origini indonesiane, cinesi e taiwanesi, Han è cresciuto a Londra , dove ha cominciato a giocare per il Tottenham. Poi è stato reclutato dal Manchester City, una delle accademie giovanili più importanti al mondo. Lì ha raggiunto la nazionale Under 21 ed era in predicato di esordire con Guardiola.
Gli infortuni ricorrenti, sebbene sostenga che non siano stati la ragione principale, hanno contribuito alla sua decisione: “Sono stati un fattore significativo ma questa è la risposta più semplice. Sentivo di aver bisogno di qualcosa di più, soprattutto a livello intellettuale. So che può sembrare un po’ pretenzioso. Non conosco molte persone che si ritirano quando arrivano nella squadra Under 21 del Manchester City. Tutti si aspettano che diventi un professionista, ma io mi sono fermato lì”.
Han Willhoft-King racconta il calcio da dentro
Nell’intervista al Guardian racconta altre cose interessanti, della sua esperienza al City: “De Bruyne, Haaland… sono i migliori giocatori del mondo. Ma ti rendi anche conto che sono persone normali. Fanno un po’ di scherzi, si rimproverano a vicenda per gli errori. E vedere Pep… è così, così vivace. L’energia che porta, i gesti delle mani, il tono di voce. È davvero notevole. Poi… non voglio dire disilluso, ma ti rendi conto… beh, allenarsi con la prima squadra è diventata una cosa che nessuno aspettava con ansia, stranamente. Perché si pressava e basta. Correvamo dietro alla palla come cani per mezz’ora, 60 minuti. Non è un’esperienza molto piacevole, soprattutto quando cerchi di pressare De Bruyne, Gündogan o Foden. Non puoi avvicinarti a loro, quindi la sensazione di non volerlo fare supera quella di essere ipnotizzato”.
“Non mi piaceva. Non so cosa fosse, forse l’ambiente. Anch’io mi annoio spesso. Ti allenavi, tornavi a casa e non facevi praticamente nulla. Se lo confronti con adesso… Faccio fatica a trovare il tempo libero. Studio, esco con gli amici, gioco per la prima squadra dell’università, e anche per il college. Mi sono sempre sentito poco stimolato nel calcio. Non fraintendetemi. Lo amavo ancora. Ma ho sempre pensato di poter fare di più. Sprecavo ore al giorno. Avevo bisogno di qualcosa di diverso e Oxford mi entusiasmava; anche le persone. Immagino sia questo il motivo. Gli infortuni sono stati un fattore importante, ma questa è la risposta facile. Sentivo di aver bisogno di qualcosa di un po’ più… principalmente intellettualmente, il che suona piuttosto pretenzioso. Immagina di fare carriera in League One o in Championship… guadagni bene. Ma quanto mi divertirei? Nella mia testa non ne ero sicuro. Inoltre, nel migliore dei casi, giocherei per 10, 15 anni e poi, cosa succederà? Pensavo che andare all’università mi avrebbe fornito una piattaforma per fare qualcosa almeno per un periodo più lungo dei successivi 10-15 anni. Quindi, è anche un po’ una cosa a lungo termine”.











