Mille partite di Guardiola. Cominciò così: “L’hanno assunto solo perché costa poco da licenziare” (Times)
L'allenatore che più di tutti ha influenzato il calcio. Il suo inizio difficile al Barcellona, in tanti rumoreggiavano finché Cruyff non scrisse che il suo calcio gli era piaciuto (Times)

Mg Milano 06/11/2019 - Champions League / Atalanta-Manchester City / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Josep Guardiola
Pep Guardiola ha raggiunto le mille partite in 18 anni da allenatore, con oltre il 71% di vittorie, 39 trofei vinti e solo 128 sconfitte. La sua influenza va oltre i numeri: ha formato una generazione di tecnici che dominano l’Europa e ha ridefinito il calcio moderno con il suo stile unico. Dalla rivoluzione al Barcellona ai record con il Manchester City, ogni tappa ha lasciato un segno profondo. Oggi è riconosciuto come uno dei tre grandi maestri della storia, accanto a Cruyff e Chapman. Ne scrive il Times.
Gli allievi illustri di Pep Guardiola
Neppure questi numeri raccontano la sua vera capacità di influenzare il football. Basta guardare i suoi allievi più brillanti: oggi guidano i campionati di Germania (Vincent Kompany), Inghilterra (Mikel Arteta), Spagna (Xabi Alonso) e Francia (Luis Enrique), mentre altri occupano panchine prestigiose — Enzo Maresca (Chelsea), Domènec Torrent (Rayados), Gabi Milito (Chivas) e Cesc Fàbregas (Como). Una simile influenza perché il suo stile di gioco è stato affascinante e vincente, tanto da portargli, finora, 39 trofei principali. Il successo genera emulazione, e per questo le idee di Pep si sono diffuse nel mondo: uscire palla al piede da dietro; mantenere il possesso e riconquistarlo subito quando si perde il pallone; usare il passaggio come strumento per connettere i giocatori e disorientare l’avversario; l’attacco come forza trainante; coltivare solidarietà e impegno nello spogliatoio, anche con stelle come Messi e Haaland; e possedere uno spirito competitivo incrollabile, sempre teso alla vittoria, mai disposto ad arrendersi… Tutto questo — e molto altro — ha costruito la leggenda di Guardiola allenatore.
Inizi difficili
Al Barcellona nel 2008 perse la prima partita contro il modesto Numancia, in un piccolo stadio di Soria chiamato Los Pajaritos, nonostante una squadra destinata a diventare mitica: Valdés, Alves, Puyol, Márquez, Abidal, Yaya Touré, Xavi, Iniesta, Henry, Eto’o e Messi. La partita successiva non andò meglio: pareggio al Camp Nou contro l’altrettanto umile Racing Santander, anche se Pep schierò due giovanissimi, Sergio Busquets e Pedro, che poi sarebbero diventati fondamentali. Il clima in Catalogna era pessimo, finché Johan Cruyff non scrisse un articolo in cui spiegava che gli era piaciuto ciò che aveva visto e che la squadra di Pep avrebbe fatto grandi cose. Cruyff aveva ragione. Quel Barça toccò vette storiche, diventando nel 2009 la prima squadra di sempre a vincere sei trofei in un anno, con un calcio che incantò anche i rivali.
Anche in Inghilterra il primo passo fu difficile: la prima stagione al Manchester City fu la peggiore della sua carriera, senza trofei. Ma da lì arrivarono i suoi più grandi trionfi: il titolo da 100 punti del 2017-18, quattro trofei nazionali in una sola stagione, quattro Carabao Cup consecutive, il triplete culminato a Istanbul nel 2023, quattro campionati di fila… Record, record, record. Pep ha lasciato un segno indelebile nella storia del calcio inglese.
I capolavori di Guardiola
Ci sono stati tanti capolavori. Mi piace ricordarne uno per ogni club: con il Barcellona, la finale di Wembley 2011, quando annientò il grande Manchester United; con il Bayern, la semifinale di Champions 2016, quando travolse l’Atletico Madrid nel ritorno; con il City, il 4-0 inflitto al Real Madrid sulla strada del triplete 2023. Tre partite indimenticabili, tre opere d’arte scolpite nella storia del calcio. La storia riconoscerà, tra trent’anni o magari nel 2063, quando il calcio celebrerà il suo bicentenario, che Guardiola siede sul podio delle figure più influenti dello sport, accanto a Chapman e Cruyff: un trio straordinario, la cui importanza va oltre trofei, statistiche e schemi di gioco. Se Socrate, Platone e Aristotele restano pilastri del pensiero umano, Chapman, Cruyff e Guardiola sono i loro equivalenti nel calcio, tre giganti.
Ian Hawkey, giornalista del Times, ricorda: primo giorno di scuola a Barcellona, 15 settembre 2008. “L’hanno assunto solo perché costa poco da licenziare”. Iniesta a Guardiola: “Mister, non cambi niente”, gli dice. “Siamo sulla strada giusta.” A maggio, Iniesta segna al 93’ a Stamford Bridge: il novellino è in finale di Champions, e vincerà il triplete.











