L’ultrarunner che batte tutti perché una lobotomia le ha tolto il senso del tempo

Diane Van Deren. Correva per evitare crisi epilettiche. Poi, l'operazione al cervello le ha tolto memoria corta e senso del tempo: senza il limite della "testa", non si ferma mai

diane van deren

Diane Van Deren è una ultrarunner. Una di quei maratoneti che coprono distanze sovrumane, corrono per centinaia di chilometri. E’ uno sport estremo. Lei, americana, è considerata una delle più forti di sempre. E ha un piccolo segreto (che non lo è): corre e vince perché… non ha il senso del tempo. La sua storia è una dimostrazione dell’incredibile capacità che ha la mente di condizionare il corpo umano, di porre dei limiti che fisiologicamente non lo sarebbero.

Quando nel 1988 Diane perde i sensi per la prima volta ha 28 anni e aspetta il suo terzo figlio. Si risveglia in un letto d’ospedale, le diagnosticano l’epilessia. Fino a quel punto della sua vita è stata una buona atleta, ma niente di agonisticamente rilevante. Quando torna a casa nota che l’unica cosa che riesce a evitarle le crisi epilettiche è la corsa: impara a prevedere le crisi perché sono sempre precedute una fase in cui i sensi sono leggermente alterati. E allora  molla tutto, indossa le sue scarpe da running ed esce a correre. Corre e fugge dalle crisi. Prima basta un’ora, poi due, poi fino a 4-5 ore di fila. Corre per stare bene.

Poi purtroppo non funziona più. Le crisi arrivano improvvise, non può controllarle. Si organizza, addirittura insegna ai figli fin da piccoli a guidare perché, le venisse una crisi mentre è con loro almeno saprebbero portarla in ospedale. I medici le dicono che l’unico modo per uscirne è sottoporsi ad una piccola lobotomia: devono asportarle la porzione di cervello in cui si è scatenano gli attacchi, il lobo temporale destro, nella sua porzione coinvolta nella memoria e nella percezione del tempo.

Ad un anno dall’operazione non ha più crisi. Riprende a correre e comincia a gareggiare. Si iscrive a una 50 miglia e la vince. Ma allo stesso tempo se ne va una parte importante della sua “normalità”: dimentica gli appuntamenti, dimentica di andare a prendere i figli a scuola… ha perso la memoria a breve termine, e il riconoscimento di molti oggetti. Non può nemmeno leggere le mappe. Per continuare a correre Diane s’inventa un modo: porta con se dei nastri rosa e, quando si trova a una biforcazione e non è sicura della direzione, ne lascia per terra uno. Se dopo un po’ ha la sensazione di non essere sulla strada giusta torna indietro fino al nastro e cambia strada. Le succede per esempio alla Yukon Arctic Ultra 300 nel 2009: va fuori strada, accumula un ritardo di due ore, torna indietro e vince lo stesso.

Ma la vera unicità del suo caso di superatleta è lo sconvolgimento del senso del tempo. Lo spiega lei stessa:

“Se ho un vantaggio sugli altri atleti è il tempo: io mi perdo nel tempo. Alla Yukon ho corso per 10 giorni di fila ma lo so perché me l’hanno detto, non lo percepivo. Io non sapevo quanto esausta ero perché, semplicemente, non me lo ricordavo”.

In pratica corre, ascolta il ritmo del suo corpo, ma non altro. Non sa quando ha cominciato, da quanto sta correndo e tra quanto dovrà smettere. Galleggia nel tempo. Ignora la fatica mentale, è libera. Capisce che la stanchezza del corpo va ben oltre quella che imporrebbe la ragione. Che è la testa spesso a condizionare le sensazioni. Senza quella cade un’enorme barriera.

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