Il Mondiale che ha dimenticato chi è morto per organizzarlo

Linha Vermelha, senhor. La metro numero tre. I croati scendono quasi tutti alla stazione Artur Alvim, una di quelle consigliate per raggiungere l’Arena. Una fermata ancora e c’è Corinthians, il quartiere della squadra per cui battono i cuori della working class. A loro rimarrà in eredità lo stadio in cui il Mondiale comincia con Brasile-Croazia, […]

Linha Vermelha, senhor. La metro numero tre. I croati scendono quasi tutti alla stazione Artur Alvim, una di quelle consigliate per raggiungere l’Arena. Una fermata ancora e c’è Corinthians, il quartiere della squadra per cui battono i cuori della working class. A loro rimarrà in eredità lo stadio in cui il Mondiale comincia con Brasile-Croazia, costruito con il marmo arrivato dalla Grecia, il prato uguale a Wembley e i cessi prenotati in Giappone. Una cosa che se per caso se la inventava Stefano Benni, stavamo qua a dirgli che come al solito esagera. La copertura non è stata completata. Dovesse piovere, in quindicimila avranno bisogno di aprire l’ombrello. Il buco nel tetto non è neppure il più profondo, quello finanziario è di 250 milioni di euro. Il sindaco della città ha messo a disposizione il terreno nella periferia est, la banca Bndes ha sbloccato i fondi e gli appalti sono andati all’impresa Odebrecht, che detto di passaggio risulta pure tra i grandi finanziatori delle campagne elettorali della sinistra, il partito dei lavoratori di Lula. Il Corinthians non ha messo un soldo, i lavori a un certo punto si sono bloccati, è dovuta intervenire di persona la signora Dilma Rousseff per sbloccare un secondo prestito. Dinanzi ai banchi di Spoleto Culinària Italiana, spendono parole d’oro per Andres Sanchez, il presidente del Corinthians, amatissimo, a ottobre si candiderà alle elezioni: ovviamente per Lula. Il Movimento dos Trabalhadores Sem-Teto sta cercando di portare la sua manifestazione fin sotto lo stadio, mentre alle proteste si stanno mischiando inevitabili i cappucci dei black bloc, a Tatuapé, sei fermate di metro più in là. Meglio avviarsi verso lo stadio con un po’ d’anticipo. Meglio anticipare la folla, quella folla in cui non sarà Fábio Hamilton da Cruz, aveva 23 anni, è caduto da otto metri d’altezza mentre montava delle grate. È uno degli operai morti durante i lavori negli stadi brasiliani, ragazzi di cui non sappiamo nulla, certe volte neppure il nome. Storpiare il nome a un uomo vivo è roba da avanspettacolo, togliere il nome a un uomo morto è il più meschino degli abusi. Antonio Jose Pita Martins aveva 55 anni e stava smontando una gru quando un pezzo durante una manovra lo ha colpito alla testa. E cosa sappiamo di Fabio Luiz Pereira, 42 anni, travolto da una trave di 420 tonnellate mentre era nella cabina del suo camion? Cosa di Ronaldo Oliveira dos Santos, 44 anni, operaio morto nel sonno, colpito pure lui dal pezzo di una gru mentre dormiva in una zona in cui non era consentito, come se per un operaio possano esistere dei posti in cui la stanchezza non deve coglierti. José Afonso de Oliveira Rodrigues, 21 anni, caduto da trenta metri a Brasilia. Raimundo Nonato Lima da Costa, 49 anni, precipitato pure lui in cantiere. Marcleudo de Melo Ferreira, 22 anni, giù da 35 metri, dalla copertura dello stadio in cui giocherà l’Italia contro l’Inghilterra, a Manaus. E Mohamed Ali Maciel, 32 anni, fulminato da una scarica elettrica a Cuiabà. Adesso che la festa comincia, adesso che Jennifer Lopez canta scosciata al centro dell’Arena della working class, power to the people, power to the people, ecco, ora che i nostri occhi cominciano a rotolare dietro un pallone, almeno i nomi, almeno mettere in fila i loro nomi, andava fatto. Il Ciuccio

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