Mandorlini, basta la parola

Gli occhi di ghiaccio. Due volte su tre nelle descrizioni di Andrea Mandorlini spunta questo dettaglio, un gelo che affiora, la descrizione dell’inverno con cui osserva il mondo. Occhi di ghiaccio sa molto di Texas. Ci porta dritti dalle parti di Lance Armstrong e Clint Eastwood, altri due uomini inseguiti dall’addebito di avere la brina […]

Gli occhi di ghiaccio. Due volte su tre nelle descrizioni di Andrea Mandorlini spunta questo dettaglio, un gelo che affiora, la descrizione dell’inverno con cui osserva il mondo. Occhi di ghiaccio sa molto di Texas. Ci porta dritti dalle parti di Lance Armstrong e Clint Eastwood, altri due uomini inseguiti dall’addebito di avere la brina nello sguardo. Secondo livello di informazione (subliminale): dietro quello sguardo c’è perfidia. Non sempre, a dire il vero. Ma nulla ha fatto Mandorlini per non essere definito come l’allenatore più cattivo d’Italia, cattivo in senso politico, scorretto sarebbe meglio, incorrect, all’inglese. Nulla ha fatto per sottrarsi alla fama di irregolare, anzi a quell’irregolarità si è spesso aggrappato con orgoglio. Lui, l’antipatico con la A maiuscola. Fino a quest’anno, fino a un campionato in cui sta finora navigando da bravo ragazzo. Il primo.

L’unico passaggio in cui scorgere tracce della sua natura da inviso è nel giorno in cui gli ultrà del suo Verona intonano un canto funebre durante il minuto di silenzio per gli immigrati di Lampedusa. Mandorlini in tv quel giorno tiene lo sguardo sbilenco, mormora una cosa tipo: “Era un canto di chiesa”. Ha di nuovo gli occhi di ghiaccio. È la sola contravvenzione a un comportamento che sembra essersi dato, in linea con quanto nel dicembre del 2012 la giustizia sportiva gli prescrisse. Una sentenza unica nel suo genere. Era stato squalificato per essersi detto “nemico orgoglioso” di Livorno alla vigilia di una partita in cui le curve tireranno fuori tutto l’arsenale possibile di insulti, morte del povero Morosini compresa. Mandorlini patteggia 4 turni di stop e 20 mila euro di ammenda, il giudice aggiunge l’obbligo di “affermare con convinzione, fermezza e serietà in tutte le interviste televisive su reti nazionali pre e post gara o comunque con altri mezzi idonei, di credere fermamente nel rispetto dei valori sportivi e della funzione di unificazione sociale del calcio; ciò per almeno sette gare effettive di campionato una volta scontata la squalifica suddetta”. Una sorta di lavori socialmente utili.

Le sette partite sono trascorse da un bel po’. Certe esuberanze non si sono più ripetute. La serie A non gli avrebbe perdonato certe polemiche furbette seminate qua e là negli ultimi anni. Le corna rivolte ai tifosi del Cittadella. Il coro “Ti amo terrone” cantato nel luglio 2011 alla presentazione della squadra e dedicato ai tifosi della Salernitana che lo avevano fischiato. “Goliardia”, spiegherà poi, tirando la manella dopo aver lanciato la petrella. Poi arriva il rifiuto della maglia con la scritta “Benvenuto al Sud” che un bambino a Nocera (25 marzo 2012) gli porge prima della partita. “Valla a portare a quelli della curva”, gli dice mandandolo via. Alla fine aggiunge: “Farò festa quando retrocederete”. A giugno dello stesso anno il suo ds Gibellini annuncia l’addio al Verona dicendo di essere stato aggredito fisicamente da Mandorlini. Un mese dopo un altro pandemonio si scatena in sala stampa a Varese, pure stavolta c’è un bambino di mezzo. Infine Livorno, la squalifica, la svolta.

Una città, Livorno, con cui le ruggini sono antiche. Risalgono al 2001, l’anno in cui il legale di Mandorlini denuncia Mascia Ferri del Grande fratello per aver rivelato in pubblico una relazione avuta con il suo cliente. La curva del Livorno è quella che ci ricama di più. Sfottò e canzoncine verso l’allenatore fumantino, uno che a Trieste in conferenza stampa aveva reagito contro una domanda che non gli era piaciuta fissando il giornalista e gelandolo: «Non è vero che la mia squadra ha costruito poco, forse tutta quella pioggia le sarà entrata negli occhi…».

Occhi di ghiaccio e fierezza nelle provocazioni si ricordano di lui pure da calciatore. Quando certi errori per troppa disinvoltura gli valsero il soprannome di Mandorlauer. Uno che comunque picchiava duro. Ne sa qualcosa il povero Ruben Buriani che uscì da San Siro con tibia e perone rotti dopo una sua entrata. Un giorno ne fa le spese pure Maradona, che va in tv e attacca. Sostiene che l’Inter picchia, il Milan compra la finale di Coppa dei Campioni, la Philips scippa lo scudetto nel basket. Mandorlini gli risponde: “Peccato, potevo alzare un po’ di più il piede, invece della gamba gli colpivo la lingua e sarebbe stato finalmente zitto”. Chissà se Mandorlini se lo ricorda, adesso che per uno scontro di alta classifica il Napoli gli torna davanti, sotto gli occhi, gli occhi di ghiaccio.
Il Ciuccio

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