Il razzismo spiegato ad Allegri

Caro Massimiliano Allegri, mi prendo la licenza di chiamarti caro e di darti del tu in nome dei cinque mesi che hai trascorso a Napoli da calciatore, tra il dicembre 1997 e il maggio 1998, sette partite giocate con la nostra maglia, e tralascio il come in segno di benevolenza. Ti scrivo con una certa […]

Caro Massimiliano Allegri, mi prendo la licenza di chiamarti caro e di darti del tu in nome dei cinque mesi che hai trascorso a Napoli da calciatore, tra il dicembre 1997 e il maggio 1998, sette partite giocate con la nostra maglia, e tralascio il come in segno di benevolenza. Ti scrivo con una certa urgenza, alla vigilia delle decisioni del giudice sportivo sull’eventuale chiusura di San Siro e dopo aver ascoltato le tue frasi a Sky sull’atteggiamento degli ultrà milanisti verso la città di Napoli. “La curva è sempre stata esemplare, gli sfottò e le cose ci sono sempre stati e ci saranno sempre nel calcio”, hai risposto quando Alessandro Alciato ti ha domandato se non fosse il caso di prendere le distanze dai gruppi protagonisti dei cori razzisti, anziché riceverli a Milanello.
Ecco. Ti scrivo per chiederti scusa. Sì, devo chiederti scusa. Perché, vedi, caro Massimiliano Allegri, quella tua risposta è francamente un motivo di imbarazzo. Per me, mica per te. Mi sbaglierò, ma io credo che il giudice sportivo non squalificherà San Siro: la frase ascoltata all’interno dello stadio pare che sia “noi non siamo napoletani”. Una frase che deride, ma non offende. Io almeno non mi sento offeso se quelli lì non sono napoletani, io ne sono orgoglioso. Ti dirò di più. Sono finanche contento se San Siro non sarà squalificato, perché l’idiozia di una minoranza priverebbe del piacere di andare alla partita quelli che magari hanno già comprato il biglietto, chi lo sa, forse un papà che porta il suo bambino. Ma vedi, caro Massimiliano Allegri, io devo chiederti scusa perché la tua risposta mi crea un imbarazzo nei confronti di altri bambini. I miei. I nostri. I napoletani. Quelli che vivono a Napoli e quelli che abitano fuori. Quelli che vengono presi in giro per essere napoletani. Colerosi, terremotati, noi che con il sapone non ci siamo mai lavati, noi munnezza, Max, noi munnezza. E questi non sono sfottò, queste non sono cose, non è derisione. Questa è ingiuria, questa è discriminazione. Si chiama razzismo. E il fatto che i cori e le canzoncine siano vecchie, che ci siano sempre state, semmai dice qualcosa sulla vostra scarsa fantasia, ma non annulla la portata dell’offesa.
Con le parole che hai pronunciato, senza pensare, ne sono certo, ti sei definito come un uomo di parte, e dunque immagino sarà complicato poterti candidare alla panchina della nazionale. Immagino che saranno un problema per te, se vorrai accreditarti dentro la casa del calcio in cui vige il codice etico. Ma questi saranno affari tuoi. Tornando a noi, ti chiedo scusa, io a te, sì, scusa, caro Allegri, perché per me la libertà di parola e la libertà di pensiero sono sacre. Più sono sgradevoli, parole pensieri e idee, più dovremmo sforzarci di tenerle dentro un dibattito. Combatterle, voglio dire, con altre parole, altri pensieri e altri idee. Finanche i cori dei razzisti, persino le frasi dei fiancheggiatori come te. Se la pensi così, ti lascio libero di pensarla così e di dirlo. Però non fare marcia indietro, ti prego, non correggerti, non dire che sei stato frainteso. Esercita fino in fondo la tua libertà di parola. Per questo ti chiedo scusa, perché qui, adesso, io eserciterò la mia, e come se fossi Federico Moccia ti dico: scusa se ti chiamo stronzo. È uno sfottò, ovviamente.
Il Ciuccio

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