Sabalenka-Kyrgios risponde alla logica morbosa del circo. E funziona sempre grazie al nostro voyeurismo
Era una sfida tossica in partenza, per la sua natura puramente commerciale, per la sede (Dubai), per il suo svolgimento caricaturale. Tutto meravigliosamente offensivo: una sagra della disparità di genere (a partire dal campo) a scopi mercantili

Australia's Nick Kyrgios serves against Belarus Aryna Sabalenka during the Battle of the Sexes exhibition tennis match in Dubai on December 28, 2025. (Photo by Amr Alfiky / POOL / AFP)
Lo sapevamo già – prima – che la “battaglia dei sessi” del tennis sarebbe stata una farsa. E a chi avesse giustamente ignorato le premesse ontologiche dell’evento, sarebbe poi bastata un’occhiata al campo asimmetrico: più piccolo per la femmina più forte del mondo, Aryna Sabalenka, “normale” per il maschio ormai ex giocatore, Nick Kyrgios. Più stretto e corto di un 9% calcolato con la stessa formula misteriosa che di solito il patriarcato usa per dare forma alla sua superiorità. Questa:
i𝜕u𝜕z+β22𝜕2u𝜕t2+γ|u|2u = a cazzo di cane
Eppure l’abbiamo – chi più chi meno – vista tutti, animati da quel voyeurismo che riserviamo alle stranezze della vita: avessimo fatto combattere la tennista bielorussa con un gallo o un orso sarebbe stata la stessa cosa. Prima che qualcuno s’offenda: è come se un vero giocatore di tennis avesse giocato col Kyrgios attuale. È la logica morbosa del circo, e nell’era della permalosità agonistica è il vero punto della questione: il campo minato della correttezza sintattica (quella svenevole attenzione alla correttezza astrusa dello schwa) viene puntualmente disinnescato per affari, dunque dalla ciccia. Noiosamente: i soldi bonificano tutto. Le chiacchiere fanno fumo, per nascondere la prestidigitazione.
Questa (non) partita aveva poi un sottotesto ulteriore: Sabalenka non è solo la più forte del mondo per ranking, è anche la più prossima al prototipo fisico maschile. La più “massiccia”, potente, alta, dirompente tra le sue pari. Avevano bisogno, gli organizzatori, di livellare lo scontro, per poi ridurre comunque il campo della donna, perché evidentemente già – per definizione – inferiore. Battaglia di cosa, dunque? L’ha scritto meglio di noi il Times: alle fine “misogini e incel entusiasti. Puristi del tennis inorriditi”.
Era una sfida tossica in partenza, per la sua natura puramente commerciale, per la sede (Dubai), per il suo svolgimento caricaturale. Tutto meravigliosamente offensivo: una sagra della disparità di genere a scopi mercantili. Non aveva niente della primitiva innocenza della “battaglia dei sessi” originale, quella tra Billie Jean King e Bobby Riggs del 1973, tantomeno l’appeal della successiva tra Martina Navrátilová e Jimmy Connors. Riggs aveva 55 anni, ed era un vero sessista. Perse, e ne uscì comunque più dignitosamente di questa versione “scocciata” del già trasandato Kyrgios. All’epoca la posta in gioco era teneramente diversa: King giocava per l’equità, l’uguaglianza e la giustizia sociale. Questi hanno preso un cachet e sono tornati alle loro routine.
Sul campo resta il pubblico, noi. Ormai assuefatto a queste porcate, tanto da cascarci in pieno alimentandone la promozione sui social, l’audience, e infine tornandoci con un dibattito scandalizzato abbastanza ridicolo. Esatto: anche questo nostro pezzo completa il quadro. Operazione compiuta.











