Non è vero che chi emerge da giovanissimo, sarà un campione da adulto. È il contrario. Lo spiega Science

Duplantis e Ingebrigtsen sono due eccezioni di lusso. I performer davvero world-class, quelli che spingono più avanti i limiti umani, hanno in media avuto uno sviluppo più graduale, da giovani erano meno brillanti (Queen Atletica)

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Sweden's Armand Duplantis competes to pass 6.25m and set the new world record in the men's pole vault final of the athletics event at the Paris 2024 Olympic Games at Stade de France in Saint-Denis, north of Paris, on August 5, 2024. (Photo by Antonin THUILLIER / AFP)

Uno studio pubblicato su Science ribalta l’idea che il talento vero emerga subito: i migliori da giovani raramente diventano i migliori da adulti. Analizzando oltre 34.000 performer di livello mondiale, lo studio mostra che circa il 90% dei top giovanili non coincide con l’élite adulta. La specializzazione precoce favorisce risultati immediati ma aumenta i rischi di stagnazione nel lungo periodo. I performer, invece, crescono più lentamente, sperimentano di più e sviluppano competenze trasferibili.  Ne scrive Queen Atletica  che cita due esempi che possono essere definiti, come si dice oggi, “iconici”: Armand Duplantis e Jakob Ingebrigtsen, la cui precocità è quasi leggendaria. Lo svedese, addirittura, saltava con l’asta quando aveva 5 o 6 anni, figurarsi. Ma vedremo che questi casi sono davvero isolati.

Gli autori hanno analizzato lo sviluppo di oltre 34.000 performer di livello mondiale in ambiti diversi come sport, musica, scienza e scacchi.  I numeri sono impressionanti. Circa il 90% dei top performer giovanili non coincide con i top performer adulti. Succede negli scacchi, succede nello sport, succede negli studi accademici. Chi domina da adolescente spesso non è chi arriva al livello più alto possibile anni dopo.

 Le prestazioni elevate in età precoce sono fortemente associate a una specializzazione molto stretta: tantissima pratica specifica, pochissimo spazio per altre attività, progressi rapidissimi nei primi anni. Questo modello funziona benissimo per vincere presto, per emergere nei ranking giovanili, per entrare nei programmi élite. Ma quando si guarda alla massima eccellenza adulta, lo schema si capovolge. I performer davvero world-class, quelli che spingono più avanti i limiti umani, hanno in media avuto uno sviluppo più graduale. Da giovani erano spesso meno brillanti di molti coetanei, praticavano più discipline, accumulavano esperienze diverse e costruivano competenze trasferibili. Non correvano più forte subito, ma imparavano meglio nel tempo.

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