Mabèl Bocchi la prima Divina dello sport italiano: «Mi piacciono i bambini fino a un anno, poi rompono le scatole»

Fu la prima sindacalista a lottare per i diritti delle donne nello sport. «Alla Domenica Sportiva si arrabbiavano quando mi vestivo con i pantaloni, volevano le mini per vedere le gambe»

mabel bocchi Mabèl Bocchi

Db Milano 09/06/2011 - presentazione di 'Donna e' sport' / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Mabel Bocchi

Mabèl Bocchi la prima Divina dello sport italiano: ««Mi piacciono i bambini fino a un anno, poi rompono le scatole»

Emanuela Audisio, su Repubblica, firma un bellissimo ritratto di Mabel Bocchi la più grande cestita italiana morta ieri a 72 anni. Fu anche eletta nel 1975 miglior cestista del mondo. Pioniera delle battaglie femminili per la parità retributiva e non solo nello sport.

Scriva Audisio:

Mabèl è stata la prima Divina dello sport italiano. Libera, indipendente, femminista. Una Kessler spaiata. Una lottatrice sotto canestro, ma anche fuori. Non passava inosservata e non era mai banale. «Mi piacciono i bambini da zero a un anno, poi cominciano a rompermi le scatole».

Mabèl Bocchi, morta a 72 anni (tumore al polmone e problemi cardiaci), viveva a San Nicola Arcella in Calabria, ormai lontana da tutto, in una casa che guardava il mare, accanto alla sorella Ambra. In compagnia dei suoi tanti animali di cui si prendeva cura. Non aveva una colf e aveva imparato a fare il bagno a Cioppi, il merlo che ricambiava i suoi bacini.

È stata una pioniera forte, aggressiva, tecnica. Dominava sotto canestro grazie al “passo e tiro” perfezionato con il ct Gianfranco Benvenuti e grazie alle sue capacità atletiche. Era alta 1.86, straripante, non le dispiaceva essere anche una vamp, una donna-copertina, una femme fatale: indossava le minigonne e portava i tacchi, lei già gigante di natura. Ma anche una che non sopportava le ingiustizie, per il sistema era una rompiscatole: la prima a lottare da sindacalista per i diritti delle atlete. Per avere medico, massaggiatore, diaria. Si beccò richiami, multe, squalifiche.

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Diede addio al basket a 28 anni per problemi fisici (schiena, ginocchio, tendine d’Achille, tre fratture al naso). Un po’ di tv, di giornalismo, incarichi di rappresentanza. Ma qualcosa non funzionava. «Non mi ritrovavo più nell’immagine esterna, non sopportavo più di essere quella che nel mondo dello spettacolo doveva comportarsi in un certo modo. Alla Domenica Sportiva mi dicevano: ridi, ridi di più. E io: perché se devo leggere i risultati del basket? Si arrabbiavano quando mi vestivo con i pantaloni, volevano le mini per vedere le gambe. Ero persa, avevo smesso di giocare, cercavo senza trovarle quelle emozioni che il campo non mi dava più».

Ragazze che fate sport, oggi mandatele un pensiero: quello che avete (una tuta della vostra misura, un fisioterapista, assistenza) esiste perché c’è stata Mabèl. Che ha giocato e lottato contro l’idea che gli uomini fossero migliori delle donne. «Un’assurda convinzione». Benedetta rompiscatole.

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