ilNapolista

Mabel Bocchi: «La Pellegrini poteva fare di più per lo sport femminile. Venivano a vederci il culo non il basket»

L’ex cestista al Corsera: «Vivo in Calabria, la vita è meno cara. Non mi manca un figlio. Sono stata madre dei miei fidanzati. Uno era un masai, ho vissuto un mese con i guerrieri»

Mabel Bocchi: «La Pellegrini poteva fare di più per lo sport femminile. Venivano a vederci il culo non il basket»

Sul Corriere della Sera una lunga intervista all’ex cestista Mabel Bocchi. Oggi ha 68 anni. Ha giocato in Nazionale, nel Campionato mondiale del 1975 fu eletta miglior giocatrice del torneo, è stata la bandiera storica del Geas, ha vinto otto scudetti italiani e una Coppa dei Campioni. Vive in Calabria, a San Nicola Arcella, dove aspetta ancora la pensione sociale di 470 euro («Ho venduto casa, ho acquistato qui, mi è rimasto qualcosa, in Calabria si spende meno». Nega un flirt con Gianni De Michelis («eravamo amici, mi piacciono i belli»).

«Vivo qui perché ci abita mia sorella Ambra, perché il caldo fa bene alle mie povere ossa, perché qui c’era il villaggio del bridge, perché ho spazio per gli animali, perché Milano è cara. Zero rimpianti: avevo come alternative Kenya e Tanzania, ma in Calabria ho trovato un mix equilibrato di situazioni. Faccio i fatti miei, eppure mi conoscono. E non sono quella che giocava a basket, ma sono Mabel:aMilano conoscevo solo il vicino di pianerottolo».

Di Federica Pellegrini dice:

«Ci sono state varie Pellegrini e ora ce n’è una nuova: parlando del futuro marito, ha messo in piazza il suo privato nel modo giusto. Però un appunto glielo muovo: grazie alla sua fama avrebbe potuto fare di più per lo sport femminile».

Non ha figli e non le mancano.

«No, credeteci: non mi manca per nulla. Mi piacciono i bambini da zero a un anno, poi cominciano a rompermi le scatole. Forse però mamma lo sono stata: di qualcuno dei miei morosi».

Giocava senza reggiseno.

«Non avevo seno, poi me l’hanno rifatto. Il reggiseno era inutile e tuttora mi soffoca. Non volevo essere esibizionista, rammento che mi sono battuta per i calzoncini al posto delle mutande da gioco: molti venivano a vedere il sedere delle giocatrici, non la partita».

Racconta che con la sovietica Uljana Semionova parlava in latino.

«L’aveva studiato, io pure: era l’unico modo per dialogare».

E che in un Mondiale le chiese di aiutarla ad essere eletta miglior giocatrice:

«Verità. Le dissi di non farmi fare una figuraccia: l’Urss stravinse, ma Uljana segnò solo 8 punti. Scivolava, inciampava, commetteva infrazioni… L’ha fatto per simpatia e riconoscenza: quando veniva in Italia la portavo a fare shopping e dalla manicure. Un tipo dolce, altro che un mostro. E non immaginate la fatica che in campo faceva per non farci male».

Ha avuto un fidanzato masai:

«Il ragazzo di Zanzibar mi ha portato dai suoi: un mese indimenticabile. Mi hanno messo con i guerrieri, che non sono sposati. Non c’erano acqua e luce, portavamo le bestie a pascolare nella savana, abbiamo avuto aggressioni dai leoni. Si viveva in case costruite con lo sterco di vacca, al mattino con il latte bevevi pure le mosche, se non coprivi il bicchiere con la mano. All’inizio ero schizzinosa, dal terzo giorno ho mandato giù senza esitare: se penso a certi fighetti…».

ilnapolista © riproduzione riservata