Anna Tarrés, la Maccarani spagnola: «Non educhiamo i giovani al sacrificio, stiamo creando una società più debole»

Al Mundo la donna che ha creato l'élite spagnola nel sincronizzato e ora allena in Cina. Fu diffamata e poi risarcita. «In Cina il rispetto per i superiori e la disciplina sono valori profondamente radicati, e hanno una concezione diversa del numero di ore di lavoro necessarie per raggiungere un obiettivo»

Tarres

Anna Tarrés, volendo semplificare molto, è stata la Maccarani spagnola. Dopo aver guidato l’epoca d’oro del nuoto sincronizzato spagnolo nel 2012, è stata diffamata e licenziata in seguito alle lamentele di alcune ex allieve sui suoi metodi e sulle sue parole. La accusavano di chiamarle “cicciottelle”. In tribunale ha dimostrato che la Federazione Spagnola aveva orchestrato una campagna per sbarazzarsi di lei e ha incassato più di 400.000 euro di risarcimento. Ha dovuto ricominciare daccapo, e dopo una parentesi in politica come parlamentare per Junts per Catalunya (il partito per l’indipendenza catalana), ha allenato Messico, Francia, Ucraina e Israele, finché non è arrivata la Cina e le ha affidato il suo programma di nuoto sincronizzato. Alle Olimpiadi di Parigi del 2024 ha vinto la medaglia d’oro a squadre anche davanti alla Spagna, bronzo dopo un decennio senza medaglie. Intervistata da El Mundo, dice cose come “stiamo fraintendendo lo stato sociale” e ragiona sul rapporto ormai corrotto tra i giovani, lo sport e il sacrificio. Un tema enorme, che affrontammo anche con Adriano Panatta.

Tarrés dice che in Spagna – ma vale ovviamente in tutto l’Occidente – i giovani “non sono preparati a tollerare la frustrazione. Diciamo loro che il risultato può essere immediato e a un prezzo molto basso. Che tutto dovrebbe essere piacevole, che niente dovrebbe costare nulla, che non dovrebbero stancarsi, che non dovrebbero soffrire. In questo senso, stiamo creando una società più debole”.

In Cina è molto diverso. “La società è diversa. Lì, il rispetto per i superiori e la disciplina sono valori profondamente radicati, e hanno una concezione diversa del numero di ore di lavoro necessarie per raggiungere un obiettivo. Ma, d’altra parte, i rapporti sono un po’ più freddi. Questo è il cambiamento più importante su cui ho lavorato lì: ora i nuotatori si emozionano, esprimono i loro sentimenti, sono più generosi con le loro energie. In Spagna gli allenatori vengono criticati di più, questo è certo. I giovani sono uguali ovunque, non lo nego, ma lì il lavoro è sacro, ed è per questo che stanno andando così bene. Sono cresciuti con valori diversi e, prima di ribellarsi, riflettono un po’ di più. Culturalmente, i nuotatori in Cina sono meno spontanei, meno drammatici, meno emotivi”.

Ricorda i suoi inizi in Spagna: “Bisogna contestualizzare la storia per capirla. Quando ho iniziato, nel 1997, l’ambiente era completamente diverso. Dovevo lottare per una corsia in una piscina pubblica, non avevo alcun supporto finanziario e mi mancavano le risorse umane. Ora hanno una piscina esclusiva al Car (Centro di Alte Prestazioni) di Sant Cugat, borse di studio, strutture per combinare lo studio con la vita… Dovevo spremere l’acqua da una pietra. Abbiamo iniziato da zero fino a vincere medaglie contro potenze come la Russia. Abbiamo lavorato duramente”.

E tutta la questione del controllo del peso? “Perché la società è ossessionata da questo? A livello sociale, ci si aspetta che le donne abbiano determinate misure, mantengano una certa immagine, e in uno sport artistico questo ha un impatto. Inoltre, un corpo atletico ha prestazioni molto migliori: esce dall’acqua più in alto, è più forte. Sono passata dall’essere l’allenatrice più decorata al cattivo più malvagio del mondo, da un giorno all’altro. Ma ho capito di essere diventata una persona molto scomoda a causa di tutto ciò per cui avevo lottato. Ho fatto tutto per il bene dello sport e ho fatto molte cose, anche se in alcune ho commesso degli errori. Quando qualcuno lotta per ciò che gli spetta di diritto, combatte le disuguaglianze e si scontra con l’autorità, queste cose accadono. Alla fine, mi ha toccato meno di quanto si pensi. Sono stata la prima allenatrice con un contratto di lavoro in tutta la Spagna. Non è stato tutto rose e fiori, ma ho fatto del mio meglio”.

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