Il Qarabag FK, la squadra degli esiliati che ha cambiato il calcio azero e ha riabilitato il contropiede

Molti tifosi del Qarabag sono parte degli oltre 600.000 sfollati azeri del conflitto del Nagorno-Karabakh. A 7 punti è una pretendente al passaggio del turno

Qarabag

Qarabagh's Azerbaijani coach Gurban Gurbanov gives a press conference on the eve of the UEFA Champions League, league phase - Mmtch day 3, football match between Athletic Club Bilbao and Qarabag FK at the San Mames stadium in Bilbao on October 21, 2025. (Photo by ANDER GILLENEA / AFP)

In Azerbaigian non esiste un simbolo sportivo più potente del Qarabag FK, il club che porta nel nome un territorio, una ferita storica e una diaspora interna che dura da più di trent’anni. Il Qarabag non è solo una squadra di calcio: è la memoria collettiva di una città cancellata dalla mappa e di un popolo che non ha mai smesso di aspettare il ritorno a casa. Il Qarabag gioca oggi alla Tofiq Bahramov Arena di Baku, ma per i tifosi questo stadio non potrà mai essere “casa”. Lo era l’Imarat Stadium di Agdam, raso al suolo durante il conflitto.

Ogni partita del Qarabag è giocata “per chi non può esserci”, un rituale che ha trasformato un club periferico in una bandiera nazionale. Molti tifosi del Qarabağ sono parte degli oltre 600.000 sfollati azeri del Nagorno-Karabakh degli anni ’90, un territorio di meno di 5000 km2, fra le verdi montagne del Caucaso meridionale che proclamò la sua autodeterminazione dalla repubblica Azera nata sulle ceneri dell’Urss scatenando un conflitto sanguinoso.

La squadra è la loro rappresentanza sportiva, culturale e affettiva. Lo scrive East Journal. Ogni trasferta in Europa diventa così un ambasciatore del paese, un modo per ricordare al mondo la storia di Agdam. Non a caso, in molte competizioni Uefa, le coreografie dei tifosi riportano cartelli e striscioni che parlano di “Return to Karabakh”.

La storia del Qarabag

Il club nasce nel 1951 ad Agdam, nel cuore del Nagorno-Karabakh. Per decenni è una squadra come tante della repubblica sovietica azera. Tutto cambia nel 1993, quando la guerra causa la distruzione quasi totale della città: Agdam viene abbandonata, trasformata in una “città fantasma”, e il Qarabağ è costretto a fuggire. Da allora vive a Baku, adottato dalla capitale ma sempre legato alla propria città perduta. Una condizione che gli azeri chiamano con orgoglio “la squadra degli sfollati”. Per anni, scrive il sito ufficiale del club, il club ha lottato per sopravvivere. Il salto di qualità arriva con l’ingresso della Azersun Holding, una delle più grandi aziende del Paese, attiva in agricoltura, produzione alimentare ed energia. L’azienda diventa sponsor e principale finanziatore del progetto sportivo. Nel 2022 il Qarabağ ha registrato un utile netto di 3,3 milioni di manat (circa 1,8 milioni di euro), con ricavi superiori ai 30 milioni di manat, in parte derivanti dalle partecipazioni alle coppe europee (ABC.az). Il patrimonio stimato del club si aggira intorno ai 40 milioni di dollari, una cifra modesta per gli standard occidentali ma elevata nel contesto calcistico caucasico.

Il tecnico e l’identità

Il volto del progetto è Gurban Gurbanov, allenatore in carica dal 2008. Una stabilità quasi unica nel calcio moderno: Gurbanov è l’architetto della squadra che ha portato l’Azerbaigian nella storia della Champions League, centrando la prima fase a gironi nazionale nel 2017. (Uefa.com). Il Qarabağ è ormai presenza fissa nelle competizioni continentali: Champions, Europa League e Conference. La sua stagione modello è il 2017/18, quando affrontò Chelsea, Roma e Atlético Madrid nella fase a gironi di Champions.

Il percorso in Champions

In Champions League è un Qarabag che vola: due vittorie; contro il Benfica (3-2 in trasferta) e contro il Copenaghen (2-0 in casa). Incredibile il pareggio (2-2) con il Chelsea in casa con gli inglesi che hanno racciuffato gli azeri soltanto nel finale. Il Qarabağ ha trovato una chiarissima identità europea in questa Champions: compatto, letale in ripartenza e cinico nei momenti decisivi. Letale il contropiede con un mix di centrocampisti offensivi (Andrade, Durán) e mezzepunte (Kashchuk, Addai) che sta facendo la differenza.

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