De Laurentiis: «Io pago i giocatori, poi vanno in Nazionale e si rompono, come Rrahmani, Anguissa. Il sistema va cambiato»
È intervenuto telefonicamente a Motore Italia – America’s Cup: «Ci vuole la riforma dei campionati. L'America's sarà una grande occasione per Napoli»

Mg Napoli 23/05/2025 - campionato di calcio serie A / Napoli-Cagliari / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Aurelio De Laurentiis
De Laurentiis: «Io pago i giocatori, poi vanno in Nazionale e si rompono, come Rrahmani, Anguissa. Il sistema va cambiato»
Aurelio De Laurentiis è intervenuto telefonicamente al Centro Congressi della Federico II, in via Partenope, per l’edizione speciale di Motore Italia – America’s Cup organizzata da Mf/Milano Finanza. Ha parlato ovviamente di vela ma anche di calcio e anche degli infortuni.
«Presto i miei giocatori alle nazionali e cosa succede? Rahmani è tornato rotto, Anguissa pure. Così non si può andare avanti. I campionati non devono avere soste. Bisogna ridurre il numero di squadre e le partite. Se il campionato comincia a luglio e finisce a marzo o ad aprile, poi si concentrano le nazionali in un tempo determinato. Così avrebbe senso. Le nazionali devono capire che i giocatori sono nostri dipendenti, pagati da noi. Siamo noi che dovremmo decidere se possono essere sottoposti a ulteriori sforzi. E quando tornano infortunati, ci deve essere un indennizzo vero, e una finestra di mercato straordinaria per rimediare. Ma sembra che alla Fifa, alla Uefa e alle federazioni non interessi dei campionati nazionali che invece sono quelli vissuti e sofferti dai tifosi.
«Andremo ai Mondiali? Credo di sì. Gattuso l’ho avuto a Napoli, ha un bel piglio. È un centrocampista».
«Siamo ancora troppo legati alle istituzioni. I veri imprenditori entrano in Confindustria: allo stesso modo, nel calcio, dovremmo avere una Lega forte. Ma il sistema è troppo strutturato sulle federazioni. Abbiamo la Figc, la Uefa, la Fifa… dove nessuno vuole lasciare la poltrona, perché dà visibilità. Immagini uno che in un piccolo paese faceva l’avvocato e ora comanda il calcio mondiale: viene ricevuto da Trump, da Dubai, da Abu Dhabi… e perde la testa. Non molleranno mai quelle poltrone. Io dico: non le mollate, se non volete, ma lasciateci organizzare lo sport come una vera impresa. Invece vogliono dominare tutto: panchine, calendari, partite, incassi. Fanno troppe competizioni per guadagnare di più, e poi a noi club arriva molto meno di quanto si pensi. E con le nuove Champions e le nuove competizioni, fra qualche anno alla Serie A rimarrà pochissimo».
«Impresa significa fare impresa. Io lascio agli altri le frodi, lasciò ai ladri certe pratiche. E come canta Venditti: “questo mondo di ladri”. Io, a 76 anni, mi diverto ancora a combattere. E combatterò finché avrò campo libero».
«In questi ventuno anni di Calcio Napoli ho sempre lottato. Sono stati anni che mi hanno insegnato molto, in una città che tanti considerano “matrigna”. Io dico: no. Va bene tutto, ma su certe situazioni si resta un po’ troppo in silenzio. E invece spetta a noi imprenditori fare davvero impresa. Non perdonerò mai chi vuole solo “fare presa”: bisogna fare impresa, non approfittare. E questa America’s Cup, con le sue opportunità, può diventare un modo per unirci.
«C’è un altro problema, che considero importante: i veri imprenditori della Campania, e soprattutto di Napoli, devono essere più uniti. Devono fare rete. Perché qui ci sono persone capacissime, intelligenti, in grado di competere nel mondo. Quindi, napoletani: uniamoci. L’America’s Cup sarà un’occasione per fare ancora una grande figura davanti al mondo.
«Ho sempre amato la vela, ma ormai la novità è un’altra: queste imbarcazioni sono diventate la vera Formula 1 del mare. Superano i 50 nodi, hanno una manovrabilità che non perdona e rendono lo spettacolo incredibile. Sono mezzi sempre più spettacolari, destinati a diventare persino più affascinanti della Formula 1 stessa. Richiedono equipaggi straordinariamente allenati, perché non permettono errori.
Sarà una giostra per gli occhi, per lo sport, per il piacere di assistere a qualcosa di unico.
«E sono convinto di una cosa: Napoli sta tornando ad essere, come nei secoli scorsi, una città centrale per l’Europa. Sento sempre parlare di Milano, Milano, Milano… ma dall’Italia non abbiamo fatto altro che togliere al Sud, senza mai scommettere davvero su di esso. E la regina del Sud non può che essere Napoli. Investire a Napoli significa investire nel Sud, e oggi non si può più fare altro: qui c’è un potenziale enorme. Se qualcuno non lo capisce, è grave. Davvero grave».










