Da promessa del calcio libico a “scafista” in una prigione italiana: la storia di Alaa Faraj
La racconta So Foot: vittima della guerra civile e del naufragio del Ferragosto 2015, è stato condannato a 30 anni di carcere. Ha scritto un libro

Alaa Faraj nel 2014 aveva 19 anni e studiava ingegneria all’Università di Bengasi. Ma soprattutto era soprattutto un calciatore di grande talento, giocava nell’Al-Ahly Benghazi. Centrocampista, ossessionato da Andrea Pirlo. Solo che in Libia, proprio nella sua regione quell’anno il generale Khalifa Haftar lancia un’operazione militare chiamata Karama, teoricamente contro i gruppi armati islamisti, che poi avrebbe innescato una nuova civile. Lui, come molti altri, tenta di scappare in Italia. E ancora oggi è in Italia, in un carcere in Sicilia.
Ha raccontato la sua storia in un libro, e così ha fatto So Foot. Dopo aver provato invano a venire in Italia legalmente decide all’insaputa della sua famiglia di partire via mare, sapendo di avere il 90% di probabilità di morire. Il 15 agosto 2015 Faraj e i suoi amici tentano la traversata del Mediterraneo. A bordo di una barca improvvisata ci sono stivate più di 300 persone, provenienti da varie regioni e paesi africani. La nave si capovolge e le 49 persone stipate nelle stive annegano. “I quattro libici a bordo dell’imbarcazione, tra cui Alaa, sono giudicati colpevoli perché le autorità italiane hanno deciso che Libia uguale trafficante”, scrive So Foot.
Nel 2017, due anni dopo la tragedia di Ferragosto, la giustizia italiana ha condannato Alaa Faraj e i suoi complici a 30 anni di carcere per ” complicità in immigrazione clandestina “. Alaa è considerato uno “scafista “. La Corte d’Appello, e poi la Corte di Cassazione, hanno confermato la condanna. Detenuto per dieci anni nel carcere dell’Ucciardone di Palermo, Alaa Faraj non si è arreso alla disperazione; anzi, ha deciso di imparare l’italiano e di raccontare la sua storia in un libro.











