L’eredità che Messi lascia all’Argentina (e al football): la ricerca dell’eccellenza, sempre (La Naçion)

Il lungo addio è cominciato. Non vuole lasciare con un finale sbiadito. Niente triste, solitario y final. Se non si sentirà all'altezza, i Mondiali non li giocherà

Messi

Argentina's forward #10 Lionel Messi celebrates after scoring his second goal during the 2026 FIFA World Cup South American qualifiers football match between Argentina and Venezuela at the Mas Monumental stadium in Buenos Aires on September 4, 2025. (Photo by Luis ROBAYO / AFP)

Il conto alla rovescia è scattato prima nella testa e poi sul calendario. Prima dell’inizio della partita contro il Venezuela. Messi aveva già fatto i suoi calcoli. Guardando semplicemente il calendario della nazionale, ha capito che gli sarebbe stato difficile tornare a giocare in Argentina con la maglia che ama di più. Da quando lo ha detto a Miami, si sono chiarite due cose: che Leo ha iniziato a fare i conti con la fine della carriera e che non è eterno, nemmeno lui. Il suo travaglio interiore è stato ricostruito da La Naçion.

L’ammissione di Messi

«Devo essere sincero con me stesso. Se non sto bene, preferisco non esserci». Una dichiarazione di principi. Messi non si permetterà mai un finale sbiadito. E sa che il calendario gioca contro di lui. Non tutte le sue giocate riescono più come una volta: su tre dribbling, uno può non andare a buon fine, a volte anche due. Perfino il venezuelano Christian Makoun è riuscito a rubargli un pallone. Ma il problema non è tecnico. Il genio insiste, e giovedì è stato comunque il migliore in campo in una notte ricca di stelle. Qualcuno immaginerebbe che, nella fase conclusiva della carriera, potesse arretrare il raggio d’azione, evitando la pressione costante dei rivali. Ma così non sarebbe lui che da vent’anni vive con naturalezza la responsabilità di decidere le partite.

È stato toccante vederlo emozionato non in un festeggiamento o in un ricordo delle vittorie, ma addirittura durante il riscaldamento. Come se volesse assaporare ogni secondo. È stato il suo ultimo match ufficiale in Argentina. In futuro ci sarà sicuramente una partita d’addio o un omaggio, ma non sarà mai abbastanza per un animale competitivo come lui, che non si accontenta del semplice “esserci”.

La questione è fisica.

Negli ultimi dodici mesi ha sofferto infortuni con la stessa frequenza dei suoi inizi. Le assenze hanno frenato il suo ritmo al rientro, lo ha ammesso. Prima voleva giocare sempre, oggi dice di capire che deve gestirsi. Ma continua a ripetere ai tecnici che il suo miglior allenamento resta la continuità delle partite. Le lacrime in panchina, all’Hard Rock Stadium di Miami, dopo l’uscita nella finale di Copa América 2024, rivelavano la sua rabbia e nascondevano la delusione: non sapeva se avrebbe avuto un’altra occasione per essere incoronato facendo ciò che più ama. Nemmeno oggi ne ha la certezza, ma farà di tutto per riuscirci. Per questo ha parlato della necessità di chiudere bene l’attuale stagione di Mls, così da non restare fermo in ottobre come l’anno scorso, e di prepararsi con una preseason adatta a un corpo di 38 anni. «Nove mesi passano in fretta e allo stesso tempo sono tantissimi», ha scherzato. Insomma, allungare la carriera è possibile, ma serve che il corpo regga.

L’Argentina è comunque competitiva

La Selección, paradossalmente, vive il momento migliore per imparare a fare a meno del suo capitano. L’esistenza di talenti come Thiago Almada, Franco Mastantuono e Nicolás Paz fa pensare che ci saranno eredi: non al suo livello, ma sulla stessa linea. Lo stile consolidato, l’ottima forma di vari veterani (Leandro Paredes vive una seconda giovinezza in nazionale) e le prestazioni senza Messi – come il 3-0 al Brasile – garantiscono continuità. Resta solo da capire se tutto ciò potrà essere confermato quando lui non ci sarà più, e bisognerà colmare definitivamente il vuoto di leadership.

Chi credi di essere, Messi?

Perché, in tutti questi anni, Messi è stato sempre alla guida della Seleccion. Forse ci è voluto tempo per comprendere il suo modo di comandare, lontano dall’arroganza e dall’esibizionismo. Così semplici da sembrare quasi assurdi, i suoi modi raccontano il professionista più longevo e allo stesso tempo la persona più umile che conosciamo. Chi credi di essere? Messi? No, perché chi davvero si sente come lui non si monta mai la testa. Non finge. Non inventa scuse. Oggi protesta di più, è vero, anche inutilmente a volte. Ma non vuole mettersi in mostra: pensa solo a vincere. Non lascia mai passare una partita, un’azione o una conclusione senza la giusta attenzione. La sua frase “se non sto bene, preferisco non esserci” farà parte del suo lascito. Quando non sarà più in nazionale (sperando, ovviamente, dopo il Mondiale), chi resterà potrà applicare ciò che ha imparato. Tutto si potrà riassumere in un’unica bandiera: ricerca dell’eccellenza, sempre.

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