Simone Pepe: «Conte alla Juve stravolse il modo di pensare il calcio, in allenamento era “si salvi chi può”»
Alla Gazzetta: «Non ha rivali sulla preparazione della gara e la comunicazione con i giocatori. In partita al 70esimo i nostri avversari erano in coma e per noi era come essere al 40esimo».

Napoli's Italian Head coach Antonio Conte looks on during the Italian Serie A football match SSC Napoli against Torinoi FC at the Diego Armando Maradona Stadium, in Naples on April 27, 2025. (Photo by CARLO HERMANN / AFP)
L’ex calciatore della Juventus Simone Pepe ha raccontato alla Gazzetta dello Sport come i calciatori hanno vissuto Antonio Conte in panchina.
Pepe: «Conte alla Juve stravolse il modo di pensare il calcio»
Come fece Conte a cambiare la storia della Juve?
«Stravolgendo il modo di pensare calcio. Portò un cambiamento totale nel lavoro a livello tattico, fisico, delle conoscenze. Iniziammo in ritiro con il 4-2-4, ma l’arrivo di Vidal lo spinse a modificare il modulo. Ci sono due aspetti in cui Conte non ha rivali: la preparazione della gara e la comunicazione con i giocatori. Tocca sempre i tasti giusti. Ripenso al famoso discorso a Vinovo durante lo sprint con il Milan nel 2012. Tanti allenatori parlano, ma non ti resta nulla. Le parole di Conte invece entrano in testa e arrivano al cuore. Quando dice “Oggi a questi gli mettiamo il campo in salita”, tu te lo immagini proprio in pendenza. In settimana era tipo “si salvi chi può”, eh: una fatica enorme. Però in partita al 70’ i nostri avversari erano in coma e per noi era come essere al 40’. A Napoli ha fatto un altro capolavoro».
Che ricordo è il Mondiale 2010?
«Comunque bello: giocare per l’Italia è meraviglioso. Fui titolare in tutte le partite. Purtroppo non c’era stato ricambio generazionale. Nel 2006 c’erano diciotto campioni e gli altri erano bravi giocatori. Nel 2010 c’erano diciotto bravi giocatori e gli altri erano campioni nella fase finale della carriera».
Adesso fa l’agente: qual è il compito più importante nei confronti di un suo assistito?
«Insegnargli a trovare la soluzione, non la scusa. Noi facevamo così. Io ho avuto lo stesso procuratore per quindici anni e se dovevo parlare con Marotta o Paratici andavo da solo. Adesso i ragazzi vogliono un tutor, più che un agente. E noi dobbiamo adeguarci. Dico loro che la differenza grande la fa la continuità di rendimento. Hai giocato bene domenica? Ok, oggi è lunedì. Non se lo ricorda più nessuno. Quindi testa bassa, pedalare. E sorridere. I miei compagni mi hanno sempre voluto bene anche per questo».