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Fabregas: «Capello mi disse di essere più difensivo, allora ho capito di dover continuare con la mia filosofia»

Al Corriere dello Sport: «Conte invece è un fenomeno. Col Napoli a Como ha cambiato formazione 3-4 volte durante la partita, mi ha messo in difficoltà come nessun altro»

Fabregas: «Capello mi disse di essere più difensivo, allora ho capito di dover continuare con la mia filosofia»
Db Chatillon (Ao) 25/07/2023 - amichevole / Cagliari-Como / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Cesc Fabregas

Cesc Fabregas, allenatore spagnolo del Como e noto ex calciatore, è stato intervistato da Ivan Zazzaroni sulle colonne de Il Corriere dello Sport e ha trattato di svariati temi legati al suo nuovo ruolo di manager.

Fabregas: «Nessuno mi ha messo in difficoltà come il Napoli di Conte»

Di seguito l’intervista nei suoi punti centrali:

A soli 38 anni sei già un allenatore di tendenza.

«Sono giovane e credo di sapere come gira. Quando José scherzava con noi ripeteva “non mi frega niente dei momenti brutti, visto che mi mancano trent’anni da allenatore”, ci faceva capire che è un lavoro molto usurante. Guardiola si è fermato un anno, e Mourinho una volta sei mesi. Negli ultimi tempi questo mestiere è cambiato e ogni tanto è necessario ricaricare le batterie. Oggi l’allenatore è tutto. È praticamente il Ceo della società senza esserlo, ci mette la faccia quando si perde, quando si vince e quando bisogna fornire delle spiegazioni».

Del tuo Como ha sorpreso l’originalità della proposta, si dice così ormai, la personalità del gioco.

«Beh, sì, questo dipende un po’ dallo stile. Ci sono tanti modi di fare calcio e non se ne può escludere uno. Simeone vince alla sua maniera, Guardiola alla sua, così come José e Conte. Sono tutti stili differenti, però è calcio vero. È importante credere in quello che si fa. Potrei tranquillamente dire ai miei dài, andiamo a giocare palla lunga e conquistiamo la seconda palla. Ma non saprei come allenare la squadra, nel senso che non credo in quel calcio, non potrei mandare il messaggio giusto al giocatore. Il giocatore intelligente ti guarda in faccia, ti analizza. Se non è sicuro di quello che sta facendo tocca a me dargli gli input giusti e convincerlo. Io mi adatto a quello che abbiamo e poi provo a trovare tutte le soluzioni per andare a vincere. Però è vero che stiamo giocando praticamente il 70% della stagione con Da Cunha, Perrone e adesso Caqueret a centrocampo che sono esterni, numeri 10, numeri 8, non c’è un play tipo Rodri del Manchester City, o Paredes, uno che è più fisico e posizionale. Questa te la racconto».

 Vai.

«Dopo aver vinto la B mi ritrovai a cena a Trento con Pecchia e Capello. Fabio mi disse: “Cesc, adesso non puoi più giocare così eh, adesso ti devi difendere di più”. Insisteva sulla difesa, difesa, difesa. Quella sera andai a dormire più convinto che mai».

Di cosa?

 «Che avrei seguito la mia strada e la mia filosofia».

Capello ha vinto tanto.

«È esattamente ciò che ti ho spiegato prima, stili differenti ma sempre calcio. Io ho vinto con tutti, con Conte, con José, con Guardiola, ho vinto con Vilanova, ho vinto con alcuni tra i più grandi della storia. A me piace studiare il calcio, uno che studio molto è Ancelotti».

Dimmi di Conte.

«Antonio è un fenomeno, un fenomeno. Potrei giocare e allenare giorno dopo giorno come fa Antonio? Sicuramente no. Però ho imparato tantissimo. Da Antonio, dalla sua metodologia e, soprattutto, dal suo messaggio costante, dalla sua idea. La mia è un po’ diversa dalla sua, tuttavia lui con la sua chiarezza e autorevolezza ti porta sempre all’obiettivo».

C’è qualcosa che lo avvicina a Pep? Il temperamento, l’ossessione?

«E a Mourinho anche, io l’ho ripetuto in tante interviste. Mourinho e Guardiola diversi? Ma diversi in cosa? Sul campo forse, ma fuori sono malati di vittoria, hanno una incredibile mentalità vincente e una notevole capacità di trasferirla alla squadra. Antonio è della stessa pasta».

Qual è l’avversario che ti ha messo più in difficoltà in Italia?

«Il Napoli, sicuramente. Qui a Como Antonio ha cambiato la formazione 3, 4 volte in pochi minuti per crearmi dei disturbi e cercare la vittoria. Secondo me ha fatto anche molto bene, indipendentemente dal risultato finale. A ogni suo adattamento corrispondeva qualcosa di diverso da parte mia. Non è stato semplice, te lo posso assicurare. Un altro molto complicato è stato Gasperini. Mi è stato detto che per la prima volta l’hanno visto difendere a quattro, cosa che non faceva mai. Mi ha obbligato a cambiare tanto, a trovare ripetutamente delle contromisure. Quando ha inserito Brescianini come quinto a sinistra mi ha messo in crisi. Io presto tanta attenzione agli avversari, è una parte fondamentale del mio mestiere. Sta dando ottimi risultati anche il lavoro individuale sul giocatore».

Nel tuo destino c’era l’Italia.

«Devo dire di sì. Anche Ancelotti fece un tentativo quando stava a Napoli. Una sera era al ristorante con la moglie e quando Darren lo vide mi disse “vedrai che Carlo ti chiederà di andare al Napoli”».

Cosa che fece.

«Fu la prima cosa che mi disse quando mi strinse la mano: “Sei pronto per venire da me?”».

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