Ha bisogno di alzare l’asticella per restare, convincersi che si può andare oltre. Vuole scrivere la storia e pretende che sui libri ci sia il suo nome

Conte arriva, programma col club, applica il suo metodo, vince e (spesso) saluta (Corsera)
Il Corriere della Sera, con Monica Scozzafava, dedica un articolo ad Antonio Conte. Ne pubblichiamo un estratto:
Non ditegli che ha già un pezzettino di scudetto cucito sul petto, Antonio Conte diventa il peggior nemico. Non è soltanto scaramanzia, sarebbe come scoprire la sua fragilità: è un vincente che non accetta la sconfitta. Lo dice: dei secondi non se ne frega nessuno. La sua è una battaglia di nervi quotidiana. È sempre stato così: Conte arriva, programma col club, impartisce il suo metodo, vince e (spesso) saluta. Ce l’ha in testa la vittoria, la punta, a costo di scalare montagne la raggiunge. Ha tirato su la Juventus dalle macerie, ha riportato l’inter sul tetto d’italia, e al primo anno col Chelsea è passato dal decimo al primo posto. Adesso il Napoli: sette punti dallo scudetto con tre partite a disposizione. «Nulla è fatto», dice. Ma pretende che si faccia.
Conquista titoli e anche antipatie, non se ne cura. A Napoli ha posto le sue condizioni, ha gestito la personalità decisa del presidente De Laurentiis e le emergenze continue: i giocatori più forti finiti in altre squadre, gli infortuni sempre a minargli il terreno.
Due giorni di riposo dopo la vittoria con il Lecce, poi la solita e intensa settimana di lavoro, probabilmente anche un appuntamento con De Laurentiis nel frattempo rientrato dalle Maldive. Conte vince, poi può anche salutare. E non è un luogo comune. Il comandante ha bisogno di alzare l’asticella per restare, convincersi che si può andare oltre. Non è una pretesa ma una esigenza. Vuole scrivere la storia e pretende che sui libri ci sia il suo nome. Costi quel che costi.
Candreva: «Conte è cambiato molto, è più duttile. Pensavo che anche a Napoli avrebbe usato solo il 3-5-2»
Nel corso dell’ultima puntata de “L’Originale” su Sky Sport Antonio Candreva ha raccontato cosa rende speciale Antonio Conte e perché i suoi giocatori sono così strettamente legati a lui.
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I due hanno lavorato insieme all’Inter nella stagione 2019-20. Cosa rende speciale Antonio Conte?
«Conte ti entra dentro. È viscerale. Il giocatore si lega a lui perché lo sente veramente. Parla in maniera diretta con tutti e davanti a tutti. Anche con un giocatore più rappresentativo, non fa le cose in disparte ma parla sempre davanti al gruppo. Le cose le dice in faccia e non ha peli sulla lingua. Ti entra dentro perché ti fa credere nel lavoro che fa, perché poi lo vedi in campo la domenica. Il lavoro settimanale ti prepara alla domenica e ti senti pronto ad andare a combattere per lui».
Come è il suo lavoro settimanale? Esiste una settimana di scarico?
«Lo scarico con Conte non esiste (ride, ndr). Anche il giorno successivo alla partita chi aveva giocato faceva uno scarico ‘particolare’. Prima di conoscerlo, ero abituato a indossare le scarpe di ginnastica nel giorno post partita e a fare solo una corsetta. Lui invece faceva indossare a tutti gli scarpini e ci faceva fare una partitella 11 contro 0, poi allunghi e scatti. Il recupero per il mister è quello… Poi chi non aveva giocato faceva un lavoro supplementare in campo, mentre chi aveva giocato rientrava e andava a lavorare in palestra o chi aveva bisogno andava a farsi fare i massaggi per il recupero. Nel complesso, il lavoro settimanale del mister è molto importante».
Come giocatori vi sentivate protetti da Conte rispetto alle possibili critiche e all’ambiente circostante?
«Conte ci mette sempre la faccia. Al primo posto metteva sempre il rispetto dei ruoli. Per lui i suoi giocatori sono intoccabili. Se qualcuno toccava i suoi giocatori, lui saliva in cattedra e li difendeva fino alla morte. Difende sempre i suoi calciatori, a prescindere dal ruolo e da quanto giocano».
Faceva differenze tra titolari e riserve?
«No, per lui sono tutti importanti, titolari e riserve. Tratta tutti alla stessa maniera. Poi è un allenatore che dà sempre l’opportunità a tutti. Premiava sempre chi si allena bene e sottolineava sempre che il gruppo è la cosa più importante».
A livello tattico lo vedi cambiato? In questa sua avventura Napoli sta dimostrando di essere più duttile, concordi?
«Rispetto a quando l’ho conosciuto, è cambiato molto. Ora è molto più duttile. Pensavo che anche a Napoli avrebbe usato sempre e solo il 3-5-2, che è un po’ la sua ‘carta d’identità’. E invece ha iniziato col 3-4-3, poi ha fatto il 4-3-3, il 4-4-2 e anche il 3-5-2. È stato camaleontico durante la stagione e mi ha sorpreso da questo punto di vista, non me lo aspettavo per come lo conoscevo. Solo con il Chelsea aveva fatto il 3-4-2-1, con due esterni come Hazard e Willian dietro a Diego Costa. In questi anni e a Napoli ha sicuramente fatto un percorso di cambiamento».