Al Corsera: «Il mondo è maschilista. Le donne hanno il terrore di sbagliare; per millenni hanno pagato gli errori con le botte degli uomini»
Julio Velasco intervistato da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera. Velasco è commissario tecnico della Nazionale femminile di pallavolo che ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi.
Si è discusso molto se gli atleti debbano essere «cattivi», aggressivi, agonisticamente feroci.
«Non so se cattivi; aggressivi sì. Il bello dello sport è che l’aggressività è delimitata dal tempo e dalle regole: nel volley non si insulta un avversario sotto rete, e alla fine gli si stringe la mano. Ma l’aggressività è importante e utile».
Perché?
«Perché toglie dubbi, elimina l’insicurezza. È giusto insegnare a competere in modo educativo, fin da bambini, perché la competizione fa parte della vita».
Qual è il suo vero segreto?
«Un allenatore, e in genere un leader, non fa nulla. Fa fare le cose agli altri. E deve convincerli. L’allenatore è prima di tutto un insegnante; per questo deve uccidere il giocatore che è stato. Se non lo fa, rischia di fallire; e più forte è stato, più il rischio è alto. Capello, Cruijff, Guardiola, Ancelotti ci sono riusciti; Maradona e Platini no».
Avete vinto il primo oro con la logica del «qui e ora». Ce la spiega?
«Il giocatore deve decidere ogni volta, a ogni punto. Bobbio ci ha ricordato l’importanza del dubbio per gli intellettuali. Ma se un giocatore comincia a dubitare, o a pensare al punto precedente, o a quello successivo, è finita. Conta solo il punto che stai giocando».
Cosa diceva alle ragazze per motivarle? Che erano le più forti?
«Dicevo che dovevano essere autonome e autorevoli. Che eravamo forti, però dovevamo dimostrarlo ogni volta. Una partita non è una sfilata di pregi, è un confronto. Spesso prima delle partite uno si sente nervoso, gli sudano le mani, sente lo stomaco chiuso. Nel Luna Park la gente paga per andare sulle montagne russe, per sentirsi male. In realtà paga per sentire una emozione forte. Ecco, all’olimpiade è lo stesso».
Velasco: «un allenatore non deve essere amico dei giocatori»
Una sua atleta si è mai innamorata di lei?
«Che io sappia, no».
E lei si è mai innamorato di una sua atleta?
«No. Io con gli atleti metto una certa distanza. L’allenatore non deve essere amico dei suoi giocatori. Non devono fare come i genitori che vanno alle feste dei figli e si mettono a ballare pure loro».
Che differenza c’è tra allenare gli uomini e le donne?
«Le donne hanno il terrore di sbagliare; perché per millenni hanno pagato gli errori con le botte degli uomini. Quindi a volte vanno incoraggiate. Per il resto sono straordinarie, e imparano straordinariamente in fretta».
L’Italia è ancora maschilista?
«Il mondo è ancora maschilista, ma la rivoluzione silenziosa delle donne avanza. Ha notato che ai bagni degli aeroporti c’è sempre la coda in quelli delle donne e mai in quelli degli uomini? Sa perché?».
Perché?
«Perché li ha progettati un uomo. Che non sa o non tiene conto che le donne hanno bisogno di più spazio».
A Flavio Vanetti del Corriere disse: non mi faccia parlare di doping che succede un casino.
«Confermo. Il doping è un problema serissimo. Come la corruzione. Non si può accusare nessuno senza prove; però il doping c’è. A volte il doping è sistemico, altre volte di squadra, ma molte volte è anche individuale. Qualche volta ci sono anche errori involontari».