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Il calcio è una “zona di comfort criminale”: l’illegalità è normalizzata (El Paìs)

“La gestione federativa corrotta dei dirigenti non implica mai un’assunzione di colpa o un’espressione di rammarico”

Il calcio è una “zona di comfort criminale”: l’illegalità è normalizzata (El Paìs)
In this video grab obtained from a live broadcast on the Spanish Royal Football Federation (RFEF) website, RFEF President Luis Rubiales delivers a speech during an extraordinary general assembly of the federation on August 25, 2023 in Las Rozas de Madrid. Spanish football chief Luis Rubiales refused to resign today after a week of heavy criticism for his for his unsolicited kiss on the lips of female player Jenni Hermoso following Spain's Women's World Cup triumph. (Photo by RFEF / AFP) / RESTRICTED TO EDITORIAL USE - MANDATORY CREDIT "AFP PHOTO / RFEF " - NO MARKETING NO ADVERTISING CAMPAIGNS - DISTRIBUTED AS A SERVICE TO CLIENTS

Il calcio è, tecnicamente parlando, una “zona di comfort criminale”. E’ un’espressione comunemente usata in ambito criminologico, per riferirsi ad una situazione in cui un individuo può compiere un crimine senza che ciò implichi che la sua immagine di persona onesta venga compromessa o messa in discussione. La usa José Luis López Triviño sul Paìs, per analizzare gli scandali del pallone spagnolo, ma è un’analisi che facilmente aderisce a situazioni che ben conosciamo anche in Italia.

Il calcio è una zona di confort criminale, “soprattutto con la gestione federativa corrotta portata avanti dai suoi dirigenti senza che ciò implichi un’assunzione di colpa o un’espressione di rammarico. Tutto questo per la semplice ragione che in quella zona di comfort criminale l’azione immorale o illegale è normalizzata o addirittura giustificata”.

Esempio: il razzismo. “Normalmente viene dagli spalti, da parte dei tifosi diluiti tra il pubblico, approfittando dell’accettazione storica che questi comportamenti siano consentiti nello stadio di calcio. Questo privilegio, secondo loro, è incluso nel prezzo del biglietto. Le ragioni fanno appello all’idea che i campi da calcio fossero luoghi in cui i tifosi potevano espellere le proprie tensioni personali, lavorative o di qualsiasi altro tipo. Il risultato è che questo tifoso offensivo e razzista può tornare a casa sano e salvo, vista la passività generale da parte dei club e della federazione”.

Secondo lo scrittore la Spagna ha provato a risolvere il problema con uno “sproporzionato punitivismo”, che però molto poco ha ottenuto. E’ la vecchia storia dell’inasprimento delle pene che ormai non funziona come deterrente, in Italia ormai è diventato un mantra.

E se invece, si chiede El  Paìs, si provasse a percorrere strade alternative? Come le cosiddette pratiche riparative, caratterizzate dal far sì che l’autore dell’infrazione si assuma la responsabilità del danno causato e che, come risultato di questo processo di comprensione, sia in grado di modificare le proprie convinzioni, provare rammarico e persino chiedere perdono. Un esempio? Il Chelsea che ha portato i alcuni suoi tifosi antisemiti al Campo di concentramento di Auschwitz. “Il motivo addotto per tale scelta era semplice: le misure adottate finora nei confronti di questi tifosi – sostanzialmente sanzioni – non avevano avuto successo. Da qui l’intenzione del club che la visione in prima persona della sofferenza degli ebrei garantisca ai tifosi di valutare con maggiore prospettiva i danni causati dall’intolleranza e dalla xenofobia”.

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