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Fa tenerezza la corsa dei media a italianizzare Sinner

E non perché è altoatesino ma perché è un cittadino del mondo, un rappresentante della sua generazione, le dogane non sa cosa siano

Fa tenerezza la corsa dei media a italianizzare Sinner
Italy's Jannik Sinner celebrates with the Norman Brookes Challenge Cup trophy after defeating Russia's Daniil Medvedev in the men's singles final match on day 15 of the Australian Open tennis tournament in Melbourne on January 26, 2024. (Photo by David GRAY / AFP) / -- IMAGE RESTRICTED TO EDITORIAL USE - STRICTLY NO COMMERCIAL USE --

Jannik Sinner è zeitgeist. E non perché di madrelingua tedesca e d’italiano posticcio. Lo è perché trasmette perfettamente lo spirito del tempo, ogni volta che un giornalista italiano gli ricorda fatalmente la magia – sua, nostra – d’essere italiano. Assorbe la richiesta e sorride, perché è educato. Potrebbe sganasciarsi ma apprezza la tenerezza dell’argomento, ridondante come poche altre domande da conferenza stampa. Invece sorride, un po’ stupito – lui – del nostro stupore di poterci coccolare un tale campione prodotto del made in Italy (senza peraltro essere passato per uno dei licei che il governo ha creato appositamente). Cambia la formula, ma la sostanza è sempre la stessa: che bello essere italiani eh, Jannik? Sì, è bellissimo. Ha la creanza, le buone maniere, di assecondarci.

E così mentre lui vince in campo sostituendo la narrazione del talento divino con quella del faticatore indefesso con l’etica del lavoro (in Italia stiamo messi maluccio, se la consideriamo una rivoluzione mentre proviamo ad appropriarcene), sui giornali, in tv, sulla rete è tutto un “Sinner ha tenuto l’ombrello all’ombrellina, che signore”; “Sinner ha donato del ghiaccio al tifoso svenuto in tribuna”; “Sinner gioca con il campione di tennis in carrozzina” ed altre Sinnerate declinate sempre nell’accezione trionfalistica del bravo connazionale, orgoglio d’un popolo fatto a sua immagine e presunta somiglianza.

Involontariamente è diventato anche una specie di maestro Manzi del tennis: non solo adesso gli italiani guardano le sue partite in tv, ma grazie alla combo con l’algoritmo premiante delle ricerche di Google ogni turno che supera partorisce un “chi è”. “Chi è Machac l’avversario di Sinner”; “Chi è O’Connell l’avversario di Sinner”. Ne batte uno ed ecco la scheda del prossimo, fino a vere deviazioni della logica tipo “chi è Dimitrov…“: pensa il povero Dimitrov, che bazzica l’apice del tennis mondiale da dieci anni abbondanti, uno che è stato fidanzato con Maria Sharapova ridotto a misconosciuto agnello sacrificale del nostro eroe. Da queste parti senza la luce riflessa di Sinner non sei nessuno. Ricordate quando d’improvviso gli italiani divennero esperti di spinnaker seguendo le regate di Luna Rossa? Ecco, Sinner sta alfabetizzando il Paese che cercava una via fuga dal pallone.

E insomma: Sinner è “vittima” piacevolmente consapevole di appropriazione indebita. Vogliamo più d’ogni altra cosa al mondo riportarlo nei nostri confini, potercelo rivendere “italiano” per orgoglio e marketing. Abbiamo un disperato bisogno di interpretarlo strappandolo alla realtà, perché in verità Sinner è d’una generazione successiva a questa semantica della patria. È un vero, efficace, cittadino del mondo. Di quelli che vivono lo stato gassoso delle dogane come fisiologico.

Si ostinavano a raccontarlo creatura dell’Alto Adige, poi residente (ovviamente doloso) a Monaco. Infine, arresi al successo del campione, hanno virato verso l’annessione del “nostro” ragazzo ai “nostri valori”. Chiaro che uno così, a tale domanda opponga un sorriso: che gli vuoi dire a quelli che sei mesi fa appena imbastirono una ridicola campagna stampa contro il “caso nazionale” che s’era permesso di saltare un turno di Davis per allenarsi?

Dopo la finale di Miami s’è quasi tradito: parlando del prossimo torneo a Monte-Carlo ha detto “sono contento di giocare di nuovo davanti agli italiani… vabbé tanto è lì vicino, no?”. Con la leggerezza del ventenne nato nel 2001, cresciuto abitante del pianeta per l’ordinarietà del suo percorso di vita: se fai il tennista la tua casa è un aereo, così come il cuoco lavorerà nelle cucine di due-tre continenti, e l’ingegnere si specializzerà tra Stati Uniti, Cina e India. E noi ancora a fare i titoli “mamma mia Sinner!”. Fosse napoletano gli faremmo “difendere la città”. E’ lo spirito del nostro tempo, Sinner. Ci sorride, per fortuna.

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