Serve un nemico comune per convogliare il pensiero in una certa direzione: e il nemico è Allegri. Ma non sempre i dati confermano la narrazione
Adani, Cassano e Panatta, come ridurre tutto al luogo comune del “gioco”.
Nel post Juventus-Fiorentina di domenica scorsa si è raggiunto un apice nel rapporto simbiotico tra calcio e società, ossia in quanto il calcio sia interprete della società e quanto la società abbia nel calcio uno specchio fedele. Strano ma vero, è successo durante “La Domenica Sportiva”. In questi anni ormai quando qualcuno si esprime in tv, raramente misura le parole, soprattutto in ambito politico. Si mira alla pancia, con discorsi non più di registro elevato. Si cerca sempre il banale per arrivare a chiunque e portarlo dalla propria parte. Come nella vita, così nel pallone.
“Finalmente ho sentito qualcuno che ha parlato, di calcio, in maniera schietta e chiara” tuonava in studio Adriano Panatta, consapevole o inconsapevole interprete di quanto detto sopra. Non è importante il contenuto, che può essere nullo e non sostenuto da dati, conta la forma, l’espressione, che più è semplice e gretta, più diventa assimilabile da chi si ritrova influenzato, principalmente per ignoranza.
Se c’è da riconoscere un merito a chi, nell’opinione di Panatta e in quella di molti appassionati, pare essere in grado di scoperchiare il vaso di Pandora, basta indicare Lele Adani e Antonio Cassano, mattatori della tarda serata de “La domenica sportiva”. Cosa è necessario per convogliare il pensiero in una certa direzione il pensiero comune? Semplice: un “nemico” comune. Troppo facile, per chi fa del presunto “gioco” un mantra, un’ossessione. Troppo facile, guardando l’involuzione e la flessione della Juventus nell’ultimo periodo: Max Allegri, è colpa di Max Allegri.
Individuato il colpevole, ecco le modalità per ottenere il consenso: una comunicazione schietta, facilmente comprensibile e che va a bersaglio senza diritto di replica, visto che l’affondo avviene – ovviamente – senza che il tecnico livornese abbia modo di rispondere. Su cosa si va a puntare per la crociata? Chiaramente sui classici concetti cari alla coppia suddetta: prima sul passato, richiamando alla memoria la famiglia, i bei tempi andati, la storia del club, per attirare le simpatie dei nostalgici, poi sulla nuova filosofia del “calcio moderno”, nella continua ricerca del proselitismo, di attirare a sé chi ancora non crede. Poi, se si guarda alla storia dei bianconeri – perché Adani non manca mai di citarla – bel calcio se n’è visto poco. Pragmatismo, graniticità, fisicità, atletismo, invece tanto. Qualcuno si è dimenticato del periodo trapattoniani a Torino o di Capello pre Calciopoli.
Per farlo, quale mezzo migliore della tv pubblica? Il binomio è presto fatto. La ricerca di audience è direttamente proporzionale al possedere ospiti che attirino le grandi masse con facili slogan e infarciti di opinioni comuni. E quindi gli allenatori adatti alla Juventus, per Cassano, sono quelli con una proposta di gioco, perché pare sia solo il gioco a garantire i risultati, lasciando però non spiegato cosa si intende per gioco.
È lo spettacolo? È l’intrattenimento? È il risultato? È un mix? Qui si entra in filosofia e ogni filosofo ha la sua idea, e nessun hegeliano si permetterà mai di criticare un kantiano, sono semplicemente modi di interpretare la realtà. E il calcio tale dovrebbe essere, con una differenza, ossia che, dolenti o nolenti, vi è un risultato al termine della partita o del torneo. Per arrivarci, si ricorre alla filosofia. Poi, nel calcio l’elemento statistico va a confermare o smentire la bontà di certe affermazioni. Facile colpire la pancia, quando il tifoso viola o juventino ha negli occhi il secondo tempo da poco terminato, non sapendo, o volutamente tacendo il dato contrario, dal momento che la Juventus ha avuto un xG di 1.94 contro lo 0.55 della Fiorentina.
È solo un esempio.
Dunque, chi al posto di Allegri? Anche qui, risposte scontate – ricordate la pancia! Non si può arrivare a Guardiola o Klopp, e allora De Zerbi, o Thiago Motta o Italiano, allenatori emergenti, con idee, che riescono a interpretare il “nuovo ordine mondiale calcistico” come pochi altri. Attenzione, nulla contro i tre tecnici, qui si critica la narrazione, perché inesatta. “Il Bologna ha speso 1 euro e 50”, Antonio Cassano, 23 e 30 circa. Il Bologna, in realtà, è settima per investimenti in A con 65.50 milioni investiti nella stagione 23/24 e un ricavo di 33,5 milioni. Il risultato è una bilancia negativa di 32 milioni, addirittura superiore a quella juventina (95 milioni di spesa, 66 di ricavo, -28). Non di certo bruscolini.
Per il resto la questione è sempre quella: cosa pretendiamo da una partita di calcio? Cosa vogliamo da essa? L’intrattenimento a discapito, magari, dei risultati? Il risultato a discapito dell’intrattenimento? Esaltarci per una magia da fuori area o per una diagonale difensiva ben fatta? Gol a palate infischiandosene delle coperture preventive o un’attenta linea difensiva capace di respingere quasi ogni tipo di minaccia da cross?
Adani e Cassano si sono ampiamente schierati, resi ancora più vigorosi dalla posizione privilegiata, abilissimi nell’incontrare i gusti del popolino, in cerca di seguaci. È la loro opinione, condivisibile o meno. È il modo. Un italiano ai limiti del comprensibile, agonizzante e stentato, con toni aggressivi al primo “ma”, come se illuminati da chissà quale Dio del pallone, con termini mischiati agli inglesismi. È quello che emerge dal nostro tempo e che ci meritiamo, quando preferiamo “Ciao Darwin” a buon libro o “Paperissima” a un approfondimento tematico. Lì allora Adani e Cassano siamo tutti noi.
Davide Zennaro e Alberto Lioy