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Rivera: «A Gigi Riva non è andato giù che ho alzato il Pallone d’Oro a Cagliari»

A La Stampa: «Almeno lo ha visto da vicino. Fuori dal campo non ci frequentavamo, ma parlavamo in ritiro dei nostri avversari, allenatori, o Serie A».

Rivera: «A Gigi Riva non è andato giù che ho alzato il Pallone d’Oro a Cagliari»
Db Dublino (Irlanda) 10/10/2009 - qualificazione mondiali Sud Africa 2010 / Irlanda-Italia / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Gigi Riva

L’ex calciatore Gianni Rivera ha parlato a La Stampa del suo ex compagno di Nazionale Gigi Riva in seguito alla sua scomparsa. Hanno vinto insieme l’Europeo del 1968 e hanno vissuto la partita dei Mondiali 1970 Italia-Germania 4-3.

Qual è il primo ricordo che ha di Riva?

«Gigi era una persona seria, perbene, capace, una di quelle che tirano fuori il meglio di sé e degli altri. E poi coprivamo due ruoli diversi in campo, niente staffette e alternanze, quindi il compagno ideale».

Sarebbe stato ritenuto più grande se avesse lasciato il Cagliari o il mito ci avrebbe perso?

«Lui era straordinario e sarebbe stato grande ovunque. Ha scelto di esserlo a Cagliari per amore. Quelli erano anni in cui essere bandiere veniva spontaneo: c’era senso di identità con la propria squadra e di convivenza con i tifosi».

Cosa aveva di speciale Gigi Riva?

«Piede, potenza, determinazione. E poi era un uomo squadra. Fuori dal campo non ci frequentavamo, era difficile strappargli parole. Abbiamo condiviso tante giornate insieme, l’ho sempre considerato un amico anche se non uno di quelli a cui racconti tutti i fatti tuoi. Parlavamo in genere dei nostri avversari, degli allenatori, o della Serie A».

Nel 1969 lei vinceva il Pallone d’Oro e lui arrivò secondo…

«Secondo me gli è andato di traverso che l’ho alzato a Cagliari, a casa sua. Almeno lo ha visto da vicino».

Cosa è rimasto a voi di Italia-Germania 1970?

«La finale persa contro il Brasile. Quella partita è patrimonio collettivo, eppure per chi se l’è giocata c’è la frustrazione che l’epica vissuta non sia servita a nulla. Anche Gigi la pensava così».

Gigi Riva descritto da Beccantini de Il Fatto Quotidiano:

Tre volte capocannoniere, in Serie A ne firmò 156, e chissà quanti sarebbero stati se solo avesse potuto contare sul liberismo normativo della sbronza moderna: dal mani-comio al fuori-giochicidio, dagli autogol strozzati in culla al potere rubato ai difensori e venduto ai cacciatori, di frodo e non. Portava il numero undici, mancino fino al midollo, Gianni Brera lo ribattezzò “Rombo di Tuono”. Per come tirava, per come riempiva la ciccia delle partite. Non un lampo: un tuono. Definirlo attaccante è riduttivo. Riva era l’attacco. Lo copriva tutto, per tutti. Orfano di papà Ugo a nove anni e di mamma Edis quando sbarcò a Cagliari: “Cosa vuoi che ti dica? Che dedico il gol alla Sardegna o all’italia se gioco in Nazionale? Ma non facciamo ridere: io non ho nessuno a cui dedicare nulla. Segno per dovere”, confessò a Gianni Mura.

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