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De Rossi: «rabbrividisco quando gli allenatori dicono “il mio calcio”, il calcio non è di nessuno»

In conferenza: “Mi sono innamorato di questo mestiere lavorando con Spalletti, poi la folgorazione definitiva è arrivata con Luis Enrique”

De Rossi: «rabbrividisco quando gli allenatori dicono “il mio calcio”, il calcio non è di nessuno»
Mp Perugia 08/12/2022 - campionato di calcio serie B / Perugia-Spal / foto Matteo Papini/Image Sport nella foto: Daniele De Rossi

De Rossi: «rabbrividisco quando gli allenatori dicono “il mio calcio”, il calcio non è di nessuno». Il Corriere dello Sport sintetizza la conferenza stampa di ieri e al Napolista piace molto il passaggio sul “mio calcio” espressione che a noi da sempre ha fatto venire la pelle d’oca e non in senso positivo.

Ecco le parole di De Rossi riportare dal Corsport.

Mi sono innamorato di questo mestiere lavorando con Spalletti, poi la folgorazione definitiva è arrivata con Luis Enrique. Entrambi portano tanti uomini nella metà campo avversaria utilizzando quindi la difesa a quattro. Qui però la rosa è stata pensata per difendere a cinque, quindi devo valutare volta per volta come muovermi. Di sicuro rabbrividisco, anche quando lo dicono allenatori che stimo, davanti all’espressione “il mio calcio”. Il calcio non è di nessuno. Io vorrei solo che la Roma alla fine del nostro percorso fosse riconoscibile, come identità di gioco intendo. Una squadra di Guardiola o di De Zerbi, ma anche di Simeone o Conte la riconosci a occhi chiusi.

In questi giorni tutti vanno a mille all’ora ma è sempre così quando arriva un nuovo allenatore. Dovremo essere bravi a mantenere questa intensità. È bello osservare da vicino tanti campioni: Dybala, Lukaku, Pellegrini… Ma se devo dire chi mi ha sorpreso indico Pisilli: è un ragazzo che non conoscevo e che è davvero forte».

Il Napolista e “il mio calcio” (ottobre 2022)

Vincenzo Italiano è una grande occasione sprecata di brand naming. Ce l’aveva scritto nel cognome – italiano – il suo destino di tecnico, e invece no: che sono questi cliché, io avrò il “mio calcio” e non avrò altro calcio all’infuori del mio. L’allenatore della Fiorentina è vittima dell’ultimo comandamento del pallone, il più solipsistico e – in buona sostanza – scemo: la tirannia della tattica ideologica.

Ma attenzione: Italiano tutto questo non lo sa, perché nessuno (o molto pochi e temerari), si prende la briga di rinfacciarglielo. Perché Italiano è “un innovatore”, “il nuovo che avanza”, “un De Zerbi con altri mezzi”. Un osannato. Di quelli che puoi sfoggiare a cena con gli amici per dimostrare, lavagnetta alla mano, che la tattica non è una cosa da boomer nostalgici di Mazzone, mentre gli altri, gli amici, annegheranno l’angoscia della conversazione del vino.

Italiano è un aggettivo possessivo: lo Spezia era “lo Spezia di Italiano”, la Fiorentina è “la Fiorentina di Italiano”. Funziona per moltissimi allenatori, è un vezzo retorico, ma per lui di più. Perché il gioco è “suo”, più di quello degli altri. Non sarebbe un male, in termini assoluti, se non dovesse poi pagare dazio a quella passatista regola dello sport che impone di provare a vincere, o non perdere, nei limiti del possibile contrastare l’avversario. L’avversario? cos’è un… avversario?

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