A L’Equipe. “Ho fatto la storia del mio sport con i record. Sono idoneo a stare nella casta di Maradona, Muhammad Ali, Brady”

Dice Djokovic che con la “vecchiaia” sta cominciando a dare un’occhiata a cosa c’è fuori, al di là del tennis che ancora domina. Può permettersi qualche pausa in più nel fittissimo e a tratti insostenibile calendario del tennis. Lui può. “Quest’anno non ho fatto deliberatamente il tour in Asia, dopo una primavera ed un’estate così impegnative. Ho assistito alla finale della Coppa del Mondo di Rugby a Parigi. Era la prima volta che vedevo una partita di rugby nella vita reale. Non avevo immaginato il lato fisico. E il suono dei colpi che sentiamo… è così brutale… Senza alcuna protezione è incredibile. Sono stato invitato anche alla cerimonia del Pallone d’Oro. Ho consegnato un trofeo (il Pallone d’Oro femminile alla spagnola Aitana Bonmati) e l’ho ricevuto come un grande onore. Mi è stato detto che ero il primo al di fuori del calcio. Quindi wow! È stato un momento fantastico e bellissimo. Durante la Ryder Cup di Roma sembrava quasi di gareggiare con il Team Europa”. “Non giocavo praticamente da anni, non sapevo se avrei potuto esibirmi davanti a persone. So come gestire la pressione, ma il golf è diverso. Avevo paura che il mio tiro colpisse qualcuno alla testa. Ho preso di nuovo tre o quattro lezioni di golf, dopo gli US Open, in Serbia. Beh, avevo già un livello decente. E ho accettato di farlo…”.
Djokovic parla a L’Equipe. In una di quelle lunghissime interviste che ogni anno concede a chiusura di qualcosa che sembra sempre una fine, e invece poi alla fine non lo è mai. Parla di tutto un po’.
Per quella apparizione romana al golf, s’è travestito: “Siamo partiti con l’idea di un travestimento. Ci ho messo un’ora per prepararmi, con sei o sette persone, truccatori, un parrucchiere, uno stilista… Mi hanno vestito come chi porta il servizio in camera, mi hanno messo dei cuscini sulla pancia per farmi ingrassare. Insomma, non sembravo più me stesso (ride). E sono entrato così nella sala della squadra, spingendo il carrello, pronto a servire lo champagne. Quando ho stappato la prima bottiglia, il tappo è saltato, colpendomi quasi nell’occhio prima di rimbalzare sul soffitto. Ho dovuto abbassare la testa per non attirare troppo l’attenzione… All’inizio nessuno mi ha riconosciuto. Un membro del team mi ha chiesto: “Va tutto bene?” Ho risposto in italiano. Ho servito prima i compagni, uno mi ha guardato un po’ strano e la voce si è sparsa. Rory McIlroy mi ha definitivamente smascherato. Sono tornato sui miei passi, ho preso una racchetta che avevo portato e ho iniziato a giocare al volo contro il muro. Tutti hanno applaudito, è stata una bella sorpresa!”.
Parla di Kobe, dei suoi discorsi motivazionali: “Conosciamo tutti i paroloni, su cui dovremmo concentrare la nostra attenzione. Ma il modo in cui li ha concettualizzati, detti, e soprattutto chi era, uno dei più grandi atleti di tutti i tempi, ha cambiato tutto. Mi ha anche fatto delle domande. Era come una sessione di psicologia”.
Racconta di essersi confrontato spesso con Tom Brady sull’alimentazione, il recupero. Roba da grandi campioni infiniti: “Un punto di vista abbastanza simile. Sulla buona qualità del sonno, esercizi di respirazione, approccio mentale, visione chiara della vita e degli obiettivi, stretching, pliometria (esercizi di forza basati sulla rapida alternanza di allungamenti e contrazioni). In Australia, io e il mio team lanceremo una linea benessere, prima con le bevande e poi con altri aspetti relativi al recupero e al vivere bene. Per me è naturale, perché vivo così. Sarà autentico nel senso che tutti i prodotti saranno quelli che utilizzo ogni giorno, nella mia vita e nella mia carriera. È come un’estensione del mio modo di vivere, del mio approccio, della mia comprensione dell’esistenza. E tornando a Tom Brady, adoro entrare in contatto con campioni di altri sport. Abbiamo sempre qualcosa di cui discutere insieme. La biomeccanica, la tecnica, la tattica sono diverse, ma mentalmente siamo nello stesso universo”.
Djokovic dice che la fame per la gloria gli è venuta piano piano, obiettivo raggiunto dopo obiettivo. “Dopo l’infortunio al gomito, ho cambiato la mia tecnica di servizio. Avevo 30 anni. In uno sport impegnativo come il tennis, intorno ai 30 anni inizi a chiederti quanti mesi o anni ti restano. E più invecchiavo, più le persone intorno a me – non quelle vicine a me, ma quelle nell’ecosistema del tennis – dicevano che il mio orologio biologico stava iniziando a ticchettare, che il tempo stava scivolando via. E più volevo dimostrare che si sbagliavano… prestavo molta attenzione al mio corpo e alla mia mente per essere migliore, sempre migliore. Penso che mi abbia portato dove sono a 36 anni”.
E dov’è Djokovic adesso?
“Ci sono varie risposte. La prima è: Sono il migliore. Se pensiamo questo, ed è legittimo che un atleta lo pensi, i più diranno: quanto è arrogante… Non rispetta gli altri, né le generazioni precedenti. La seconda risposta è: non credo di essere il più grande, pur dimostrando la massima umiltà, il che è possibile. E la terza: sono quello che sono, sono orgoglioso di ciò che ho realizzato, ma rispetto le altre epoche e tutte le opinioni e lascio ad altri il dibattito sul Goat. Questa è la mia risposta”.
L’universo di Djokovic è composto da gente tipo Pelé, Tiger Woods, Michael Schumacher, Lionel Messi, Muhammad Ali, Michael Jordan, LeBron James, Bolt, “e dov’è Serena? Dov’è Kobe, dov’è Ronaldo, dov’è Maradona? C’è sempre qualcuno che manca. Io ho fatto la storia del mio sport con i miei record. Sono idoneo. Sta agli altri vedere se è sufficiente oppure no. Resta soggettivo. Ma mi onora appartenere a questa casta”.
“I miei tre idoli d’infanzia erano Pete Sampras, Michael Jordan e Alberto Tomba. Al di là di questi nomi, apprezzo Muhammad Ali, che ha avuto un impatto con i suoi incredibili risultati, ma anche un impatto sociale ispirando molte persone con il suo coraggio e la sua integrità. Lo rispetto molto. Ne ha sofferto, è stato condannato al carcere, ha attraversato molte prove. Ed è per questo che le persone si identificano ancora di più in lui. Ha messo in gioco la sua carriera con forti convinzioni”.
“Alberto Tomba (con accento italiano)! La Bomba! Un ragazzo fantastico – continua Djokovic – L’ho incontrato per la prima volta in Serbia, circa quindici anni fa. Lo ricordo ancora. È stata una cena dove c’era molta gente. Ero seduto accanto a lui, super felice ed era così divertente! Mi parlava di tutto tranne che di sci. Io volevo imparare un paio di cose tecniche. Ma lui mi ha detto: No, niente sci, parliamo di feste, parliamo di vita! Abbiamo deciso che un giorno avremmo sciato insieme. Spero che quel giorno arrivi perché prima o poi tornerò sulle piste. Ho giocato a tennis con Pete Sampras, devo sciare con Tomba e giocare a basket con Jordan. Successivamente, potrei ritirarmi da tutti gli sport!”
Dice che alle Olimpiadi del 2021 ha sbagliato a voler vivere nel Villaggio olimpico, non è fatto per i tennisti. Ci si deconcentra. “Ho passato dei momenti molto divertenti. Ma, allo stesso tempo, mi ha tolto molte energie. Da atleta, da bambino se vuoi, volevo essere lì, interagire con tutti. Ma come tennista probabilmente non avrei dovuto essere lì. L’equilibrio era difficile da trovare”.