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Chiellini: «Il bravo difensore è un pessimista, ho imparato tutti i trucchi della cattiveria in Serie C»

L’intervista a So Foot: “Una volta marcai Pazzini che giocava con la maschera, era il mio miglior amico: gliela colpii per tutta la partita”

Chiellini: «Il bravo difensore è un pessimista, ho imparato tutti i trucchi della cattiveria in Serie C»
Napoli 11/09/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Juventus / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Giorgio Chiellini

L’addio e il pre-addio di Giorgio Chiellini hanno scatenato un fiorire di interviste all’ex capitano della Nazionale. La rivista francese So Foot ne pubblica una lunghissima con dei passaggi che sono una sorta di manuale del mestiere: il difensore ieri oggi e domani. Riassunta da un claim: “il difensore deve essere pessimista”

Chiellini dice che all’inizio, al Livorno in Serie C, quando rifiutava offerte molto pressanti che gli arrivavano anche dall’estero (l’Arsenal) non gli piaceva la sua esuberanza fisica, “né lo spreco di energie che derivava dai miei litigi o dalle mie varie proteste. Piano piano ho lavorato su me stesso per sbarazzarmi di tutta questa superfluità e ho notato molto presto che ne stavo beneficiando in termini calcistici. Tecnicamente stavo meglio, perché diffondevo meno questa energia mentale. Con gli anni sono diventata più lucido, più calm0. In armonia con me stesso”.

Parla del “nemico”. Il vero compagno di ogni marcatore. “Se ne stai cercando uno, lo troverai. Soprattutto quando sei un difensore. Oggi non è più come negli anni ’80, quando seguivi il tuo attaccante ovunque in campo, ma ho sempre lo stesso principio: vincere tutti i miei duelli contro i miei avversari. Ho sempre studiato molto i miei avversari per capire come contrastarli al meglio, soprattutto all’inizio della mia carriera. Per acquisire fiducia in campo, un giocatore ha bisogno di rassicurarsi formandosi le proprie certezze. Vincere i duelli mi ha aiutato molto.

“Ho sempre avuto rispetto per i miei avversari – continua Chiellini – ma in campo sono un avversario: ho bisogno di trovare qualcuno con cui confrontarmi per dare il meglio di me. Le parole “nemico” e “odio” hanno una brutta connotazione, perché si riferiscono a sentimenti troppo forti, che non appartengono né ai miei valori né a quelli dello sport. Ma sul campo, se li senti come li sento io, non è antagonista al concetto di rispetto, ti aiuta, e questo è tutto. Secondo me la rivalità sportiva è qualcosa che ti rende migliore, che ti aiuta a superare i tuoi limiti, che suscita qualcosa di profondo dentro di te. Chiunque pratichi sport a un certo livello capisce cosa intendo con questo”.

In campo un difensore deve essere pessimista, perché il tuo compagno di squadra può sbagliare, il tuo avversario può realizzare un tiro fantastico, o addirittura impossibile da anticipare. Bisogna essere sempre vigili, prevedere il peggio, questo è il prezzo riservato ai giocatori “normali” come me o Andrea Barzagli. Attenzione, Andrea era un grandissimo difensore, ma non abbiamo le qualità da fuoriclasse di Sergio Ramos o Virgil van Dijk. Hanno un fisico eccezionale, corrono il doppio di un attaccante e riescono a recuperare tante situazioni grazie alle loro qualità straordinarie. Noi siamo forti, ma non abbiamo il loro stesso margine di errore: dobbiamo lavorare ancora di più per evitare questo tipo di situazioni. Altrimenti non potremo annientarne alcuni”.

Chiellini dice che la “sofferenza fa parte del ruolo. Forse la parola “sofferenza” è troppo forte, ma bisogna essere sempre attenti, all’erta. L’attenzione è fondamentale quando sei un difensore, per questo comunico molto con i miei compagni, cerco di trasmettere loro le mie energie”.

Oggi ci sono i dati, Chiellini è uno “studioso”. In campo e fuori. Ma il calcio resta immarcabile: “I dati ci permettono di preparare e anticipare meglio determinate situazioni. Ma il bello del calcio è la sua imprevedibilità: non puoi controllare tutto, è impossibile. Ci sarà sempre questa serie di situazioni incalcolabili in cui devi prendere una decisione in un quarto di secondo: andare avanti, tornare indietro, prendere la palla, lasciarla passare… Ho avuto molti allenatori, sia Alla Juve o in Nazionale , ed è sempre lo stesso: ti prepari tanto, ti dicono che fa così, che devi fare così… Ma una volta in campo è tutto molto diverso. È molto raro che tutto vada come previsto. Spesso ci si accorge che l’avversario gioca diversamente, può anche succedere un imprevisto in un quarto di secondo che cambia tutto. È un po’ un problema dell’allenatore, se così si può dire: prepara talmente la partita che si dimentica che a scendere in campo sono i giocatori. Se non sono in grado di negoziare tutti questi piccoli cambiamenti, di reagire al minimo pericolo, tutto ciò che avete preparato durante la settimana può andare in frantumi immediatamente. Per me il bello di questo sport è questo, come si evolve: ho sperimentato, diciamo, tre modi diversi di giocare a calcio nella mia carriera, e trovo bellissimo doversi adattare ai cambiamenti che questo sport ti impone . Per sapere come rinnovarti, cambiare gioco, scoprire cose nuove”.

Gli chiedono da dove nasca la famigerata disonestà nei suoi duelli, parte integrante del suo gioco: “E’ sicuramente dovuto al fatto di aver esordito in Lega Pro. Con giocatori che sicuramente non conosci, ma che hanno avuto una carriera onesta. Conoscevano tutti i trucchi per disturbare i movimenti degli attaccanti. Ciò ha permesso loro, nonostante le poche qualità fisiche e tecniche a volte possedute, di riuscire a giocare a calcio e di riuscire a svolgere bene il proprio lavoro. Quindi, se trasponi questa al massimo livello… Questa cattiveria, riesci a controllarla sempre meglio negli anni, fino a farne un valore aggiunto. Toccare spesso il tuo avversario, ad esempio, gli fa capire che sei lì. Gli impedisci di fare certi movimenti, gli dai fastidio. Ho in mente l’esempio di Giampaolo Pazzini. È uno dei miei più grandi amici nel calcio. Lui è toscano come me, le nostre famiglie si conoscono. Ma quando l’ho affrontato, tutto è scomparso. Un giorno stava giocando con una maschera sul viso. Ne ho indossata una anch’io prima, quindi so quanto può essere restrittiva. Allora ho passato l’incontro toccandola, facendola muovere. Sembra poco, ma gli ha impedito di concentrarsi sulla sua missione primaria: segnare gol. A volte questo genere di cose non ha alcun effetto sul tuo avversario perché è semplicemente troppo forte, ma questo aspetto psicologico ha assolutamente il suo posto in ogni duello tra un difensore e un attaccante. Inoltre, questo non riguarda solo i difensori. Quando un attaccante ti vede in difficoltà è pronto a morderti, a mangiarti. Chiedi a Cristiano Ronaldo, ti dirà la stessa cosa. Alcuni attaccanti guardano per vedere chi è il difensore più stanco o in difficoltà. In difesa, puoi star certo che proveranno a superarlo finché non riusciranno a segnare”.

Ma per Chiellini fare “male non significa solo dare di gomito o cose del genere. Possono essere piccole cose più sottili, cose che non necessariamente vedi se non sei in campo… Chi non ha mai giocato a calcio può avere difficoltà a capirlo, ma altri conoscono il disagio che ciò causa e l’importanza che possono avere. I miei primi compagni di squadra a Livorno mi raccontavano che ai loro tempi – 30 anni fa – ad ogni mischia la gente si pestava i piedi, i ragazzi si mettevano olio o balsamo sulle mani e poi toccavano la faccia degli avversari… Sono cose che non esistono più”.

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