Farioli: «il calcio identitario non basta più, bisogna saper fare più cose. Tanti dogmi sono superati»

Alla Gazzetta il tecnico del Nizza guardato con sospetto perché subisce troppi pochi gol: «il mio è un calcio ragionato»

Farioli Ajax

Nice's Italian head coach Francesco Farioli celebrates after winning the French L1 football match between AS Monaco and OGC Nice at the Louis II Stadium in the Principality of Monaco on September 22, 2023. (Photo by Valery HACHE / AFP)

Francesco Farioli, 34 anni, enfant prodige degli allenatori, è il tecnico del Nizza secondo in classifica. De Laurentiis lo tiene d’occhio per il futuro del Napoli. La Gazzetta lo ha intervistato.

Quali sono i principi filosofici di Farioli?

«Con il mio staff spacchiamo il capello in quattro, ci facciamo venire il mal di testa in cerca di risposte. Questioniamo i dogmi di cui il calcio è pieno e tanti sono superati. Siamo quasi al limite opposto oggi, vale tutto finché ha una sua applicabilità e funzionalità. Questa è la grande evoluzione degli ultimi 3-4 anni di calcio. Dal dogmatismo assoluto quasi all’anarchia».

Lei aveva fama di giochista, ma è secondo con la miglior difesa d’Europa.

«Fino a 4-5 anni fa avere un’identità era garanzia di performance, ora bisogna saper fare più di una cosa. Una squadra deve avere un guardaroba con diversi abiti: lo smoking, l’abito elegante, il jeans per tutte le occasioni, la tuta da lavoro».

Thierry Henry ha sottolineato che è secondo con soli 13 gol segnati.

«Ha ragione, possiamo migliorare. Ma siamo secondi per numero di occasioni create, purtroppo anche in quelle sprecate. Abbiamo una media 27-28 tocchi in area avversaria. Gli attaccanti ci aiutano tanto in fase difensiva, a loro chiedo molto e per ora sono meno lucidi davanti».

Il tratto distintivo è il possesso palla dietro e la verticalizzazione improvvisa.

«In base alla pressione degli avversari. Il nostro calcio paradossalmente è proattivo ma allo stesso tempo reattivo, hai una serie di possibilità, l’avversario te ne toglie 9 su 10 e devi saper riconoscere quella rimasta. È un calcio ragionato, ma l’obiettivo finale è essere coscientemente incoscienti, ridurre il tempo di pensiero rispetto all’esecuzione».

Oltre a De Zerbi quale allenatore la ispira?

«Roberto è un riferimento. Ammiro Spalletti, un innovatore che ha avuto il genio di cambiar pelle tante volte. Ci sentiamo. La scelta giusta per l’Italia, non ho dubbi».

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