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Il calcio sta diventando roba per intellettuali

È in declino, come la messa. Il 27% dei millennials non ha alcun interesse per il football. Prima o poi il calo degli ascolti produrrà conseguenze

Il calcio sta diventando roba per intellettuali
Pier Paolo Pasolini con la maglia del Genoa
IL CALCIO STA DIVENTANDO ROBA PER INTELLETTUALI

L’articolo nasce da una mia riflessione data dall’osservazione e della frequentazione – assidua – di un anno dall’altra parte della barricata, dietro alla cattedra. Tra il cercare di inculcare qualcosa di analisi logica o di Dante, si parla, ovviamente, pure di pallone. Ecco, secondo me, cosa ne emerge.
Il calcio, per l’acchito che ha sulle folle, per il numero di praticanti a qualsiasi livello e per la capacità, spesso, di convogliare messaggi politici tramite l’appoggio delle tifoserie organizzate da una parte o dall’altra della barricata, è considerato un “oppio per popoli”. “Panem et circenses”, per dirla alla latina: cibo e giochi, e le masse sono a posto. Adottando questo punto di vista, di contro l’élite intellettuale si è sempre tenuta piuttosto alla larga da mischiarsi con la plebaglia in questioni sportive, soprattutto prima dell’Ottocento.
Da quel momento, in molti, come Pasolini o Saba, o Thomas Eliot, per il quale “il calcio è un elemento fondamentale della cultura contemporanea”, hanno visto nel pallone lo specchio della società. Si prenda di nuovo Pasolini, che definisce il pallone “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”.
Ebbene, nel 2023, il calcio è in declino, esattamente come la messa, esattamente perché è lo specchio della società. Pazienza, lentezza, legami affettivi e legami col passato: fumo negli occhi per la maggior parte, e il calcio si trova in mezzo come il giovedì nella settimana. Non è più un motore immobile che trascina potentemente verso l’evasione: l’evasione, per moltissimi, si ottiene in altra maniera. Il calcio sta diventando sempre di più un’attività per fini intellettuali, per pochi, in direzione contraria alla forza dei social. Esattamente come la messa. Il calcio delle masse sta scomparendo: un’analisi in sette Paesi (Italia esclusa), effettuata dall’Eca, ha scoperto che il 27 per cento dei millennials intervistati dice testualmente «di non avere alcun interesse per il calcio» e il 13% addirittura di odiarlo. E tra chi è maggiore di 13 anni il 29% dice di aver smesso di seguire il calcio «perché ho di meglio da fare».
Fra questi va fatta una distinzione, che ci ricollega alla questione degli “intellettuali”. Un sondaggio, qualche chiacchera tra i ragazzi delle superiori, e ci si accorgerà che gli studenti dei licei sono ancora molto più attaccati alle logiche passate, al pallone antico, alla sua storia. Non si faccia di tutta l’erba un fascio, ovviamente, è l’esperienza di un giovane docente calciofilo a contatto con poco meno di 200 studenti.
Il ragionamento è facile: la loro soglia di attenzione è molto più alta dei pari età degli istituti tecnici, 90 minuti davanti alla tv li reggono; chi invece si distrae quando cade il tappo della penna ad un compagno, come può resistere alle dinamiche di campo, ai cambi, alle telecronache, a stare semplicemente fermi sul divano per un tempo dilatato di tempo? In più, aggiungiamoci l’intellettualità che il calcio degli anni 2020 si porta dietro, con la sua terminologia estremamente precisa, tra gegenpressing, transizione difensiva, difesa preventiva, fuorigioco semi-automatico: il calcio è materia complicata, quasi più dell’ortografia.
Si sommi, poi, un fattore che agli adolescenti è sconosciuto: la pazienza. È possibile aspettare 20, 30, 40, 50, 60 o 90 minuti più recupero la giocata risolutiva, che ti lascia negli occhi la concezione di bello e appagante? Qualcuno ha la sensibilità tale per farlo, altri si perdono al primo fallo. Questi sono gli stessi di prima, che nella velocità d’azione di altri sport vedono le risposte alle loro esigenze.
Occhio a queste dinamiche, perché prima o poi emergeranno prepotentemente nel momento in cui si dovrà fare i conti con gli ascolti e quello che ne viene dietro. Attenzione soprattutto a questo aspetto, perché la voglia di seguire è nell’evento calcistico in sé che avviene il cortocircuito – per ora -.
Perché ogni volta che una pigna, un sasso o una bottiglietta è ben posizionata, la tentazione di buttare per terra e dividersi in squadra è un richiamo ancora troppo forte per molti. Ma si fa presto a disaffezionarsi pure da quello. Soluzioni? Tutto si gioca, in realtà, non tanto dietro le scrivanie dei potenti del pallone, ma dietro quelle di chi sta al di là della barricata, per cercare di evitare la totale perdita della capacità di concentrarsi, di ritrovare il gusto della pazienza nel prendere in mano un libro invece che Tik Tok. Quella è la prima linea del campo di battaglia, il resto vien da sé.
Davide Z.
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