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A Lukaku è andata bene: avrebbero potuto accusarlo del reato di resistenza a pubblico razzista

Un nuovo capolavoro italiano: la corte d’appello che tiene aperta la curva della Juve squalifica la vittima dei cori. Applausi

A Lukaku è andata bene: avrebbero potuto accusarlo del reato di resistenza a pubblico razzista
Mg Torino 04/04/2023 - Coppa Italia / Juventus-Inter / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: esultanza gol Romelu Lukaku

Nelle ore in cui, per coincidenza, il Ministro dello Sport Abodi annuncia che si adopererà “affinché ci sia una riforma della giustizia sportiva” (riferendosi ovviamente alle plusvalenze della Juve), la suddetta giustizia sportiva sancisce coi suoi modi passivo-burocratici che Romelu Lukaku è l’unico colpevole del reato di “vittima di razzismo.

Nel derelitto calcio italiano del 2023 tutto è possibile, financo il suo contrario. Per cui l’attaccante nero dell’Inter che rispose alla curva della Juve che lo insultava (“negro di merda” pare sia considerato ancora un insulto) zittendola nientemeno che con un violento dito indice piazzato sul muso, va punito con una giornata di squalifica. Non basta la decisione del Giudice Sportivo, serviva il secondo grado della Corte d’Appello a ribadire il concetto.

Dopo la semifinale di andata di Coppa Italia, Juve e Inter avevano presentato due ricorsi presso la stessa corte: la Juve contro la chiusura della curva che faceva il verso della scimmia al giocatore nero, e l’Inter contro la squalifica del suddetto giocatore nero per aver “provocato” la suddetta curva silenziandola, invece di subire in silenzio. La Corte ha dapprima riaperto la curva, di fatto disinnescando il verbale degli ispettori federali che avevano udito “la maggioranza” del pubblico bianconero urlare di tutto di più; e poi ha confermato la squalifica di Lukaku.

L’Inter ha riassunto tutto con una nota:

“La vittima è diventata l’unico colpevole”

Per effetto della prima decisione, la curva della Juve avrà così modo di tenere un’altra lezione di civiltà domenica sera, con il Napoli in campo. Andava garantita la possibile variazione sul tema: fuori i neri, ecco i napoletani.

La catena di montaggio di questa indecenza istituzionalizzata va dall’arbitro Massa che quella sera interpretò il regolamento in chiave kafkiana, bollando l’esultanza di Lukaku come “provocatoria o derisoria”, passa per il Giudice Sportivo e si chiude con la Corte d’Appello. Un circuito isolato, repellente al contesto, all’indignazione della politica e della società, alle intemerate di Infantino, della Lega Calcio, della stessa Figc del presidente Gravina che lo scorso San Valentino esclamò

«Io oggi sono Cissé, tutto il calcio è Cissè».

Gravina in quel caso parlò in solidarietà con l’arbitro Mamady Cissé, costretta a rintanarsi in uno stanzino dopo aver interrotto una partita di seconda categoria. Donna, nera, calcio di provincia… cosa potrà mai andare storto in questo Paese orgogliosamente “non razzista”?.

Che, per l’appunto, si riesca a fare peggio ogni volta di più. A fabbricare, a colpi di cieca burocrazia, un metaverso nel quale chi viene chiamato “negro di merda” da una fauna di invasati finisce squalificato, e chi invece inveisce, offende, sputa indecenze, no. Ratificando, nero su bianco (ops), che in Italia il razzismo non è un’infamia da censurare, ma che anzi è un diritto del razzista non finire zittito provocatoriamente dalla sua vittima. A Lukaku è andata persino bene: avrebbero potuto indagarlo per omessa sottomissione, o resistenza a pubblico razzista.

In Inghilterra, pochi giorni fa la Federcalcio ha preteso e ottenuto che un allenatore squalificato per 15 mesi per razzismo fosse bandito per 3 anni. Ché un anno e tre mesi era troppo poco. Qui siamo rimasti al famoso “non siamo noi che siamo razzisti sono loro che sono…”. Neri, napoletani, zingari. Riempite i punti a piacimento. Vale tutto.

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