A Sette: «Tarantino ha ucciso il dilemma morale delle nostre azioni. Dopo di lui la domanda non è uccidere o no, ma come e quale musica ascoltare nel mentre»
Sette, settimanale del Corriere della Sera, intervista Emir Kusturica, il regista che dedicò a Maradona il celebre film del 2008. Cristiano ortodosso dal 2005, Kusturica non rilascia interviste da tempo: teme strumentalizzazioni per
i legami di amicizia con la Russia di Putin. Dice:
«Meno politica, più Maradona».
E proprio da Maradona inizia l’intervista. Kusturica ricorda di quando Diego raccontava il gol segnato alla Stella Rossa quando giocava col Barcellona.
«Nello stadio della Stella Rossa nel 1982 per il Barcellona segnò un gol di pallonetto incredibile. Mentre lo rievocava, lo descriveva, era felice, come un architetto che mostra l’edificio che ha costruito e tutti ammirano».
E quale le è sembrato il momento più triste, nella vita di Maradona? Kusturica:
«Quando è caduto nel buco della cocaina, raccontava che tutto gli sfuggiva, si perdeva i compleanni delle figlie… Ecco, Maradona non ha mai smesso di essere umano, esposto alla tentazioni, cui spesso ha ceduto, senza mai assolversi. Con me parlava della sua vita al passato, pieno di nostalgia, come un poeta, uno scrittore. Penso alla sua morte, è morto da solo, lui che riempiva gli stadi di centomila persone, amato da milioni di fan…»
Kusturica racconta che spesso gli è capitato di sognarlo, «mentre giochiamo a calcio». E continua:
«Sogno che eravamo giovani assieme, che lui era un mio compagno di classe, e che poi giocavamo nella stessa mia squadra di Sarajevo. Vede, prima era solo il mio idolo, poi ci siamo conosciuti e confrontando l’infanzia nelle periferie, la famiglia, i successi e le cadute… ho scoperto che è come aver avuto un amico d’infanzia. Sono stato felice di averlo aiutato, con il film presentato a Cannes, a recuperare la sua immagine. A Brasilia, durante i Mondiali, un giornalista serbo gli portò una mia foto e lui la baciò».
Qual è il ricordo più “kusturiciano” del tempo che avete passato assieme?
«Alla casa di incontri di un suo amico libanese, un club di prostitute, c’era una sala con delle tv che mostravano in loop i gol di Maradona. Mi sono ricordato della prima volta nella mia vita in cui ho visto ragazze bellissime e cercavo stratagemmi per rimandare il bacio o altri atti. È stato come entrare in una casa di incontri per la prima volta… Se sono sfuggito a queste ragazze, bellissime e aggressive è grazie ai suoi gol. Dover scegliere tra la bellezza dei gol e quei corpi nudi mi faceva sorridere, e il sorriso mi ha difeso da queste donne».
L’intervista è lunghissima. Kusturica parla anche di Quentin Tarantino. Dice che il regista statunitense ha riscritto le regole del cinema ma ha ucciso il dilemma morale delle nostre azioni. Spiega:
«Oggi non c’è dibattito sull’ammazzare o no una persona. E sa di chi è la colpa? Di Quentin Tarantino. Sia chiaro, lui è nella storia del cinema, ha riscritto le regole, è un Godard americano, con più ironia. Con lui però il cinema ha preso la posizione per cui i rapporti interpersonali non si fondano sulle ripercussioni morali delle azioni, ma su una realtà fatta di ricatti e massacri. È un sistema tratto dalla criminalità occidentale e asiatica. Credo che questo non valga in tutte le parti del mondo e non sarà così in futuro. È reale che le persone si ammazzino senza porsi alcuna domanda? Credo di no».
Preferisce Le Iene a Pulp fiction? Kusturica:
«Sì. Nelle Iene c’è il senso dell’assurdo mascherato dall’idea del dilemma. Da Pulp Fiction in poi i film sono dominati da un eroe arrogante che uccide senza domande. Dopo Tarantino, la domanda non è uccidere o non uccidere, ma come, e quale musica ascoltare nel mentre. Raskolnikov non c’è, nessuno si chiede “Uccido o non uccido?” Come la canzone dei Clash Devo andare o devo restare? Tutti sono andati via, è ora di tornare a certi dilemmi».
Ne ha mai parlato di persona con lui? Kusturica:
«Quando ci siamo incontrati mi sembrava sotto cocaina, non parlava bene».